L’Italia non ha una produzione di lana significativa, ma ha le sue pecore e potremmo avere una produzione di lana autoctona interessante e anche preziosa. Il valore sta nel legame con il territorio, perché per anni i velli delle pecore sono stati filati e utilizzati e hanno dato vita a prodotti e pratiche che sono connessi con la nostra cultura. Sono andata un po’ in esplorazione e oggi vi presento le esperienze di Vuscihè, Bollait e Pecore Attive. Ma ho scoperto che c’è una grande attività intorno a questo tema, che spesso vede come protagoniste le donne.

Ogni Regione italiana ha la sua lana: non credo di esagerare con questa affermazione, perché effettivamente abbiamo moltissime razze di ovini diversi che sono allevate un po’ dovunque. Nella maggioranza dei casi gli allevamenti producono carne e latte. E la lana? Quella è un rifiuto. 

Ogni pecora mediamente produce circa 1,5/2 kg di lana. Si chiama lana sucida ed è considerata un cost per l’allevamento. Infatti se non viene ritirata, deve essere smaltita come rifiuto speciale e l’allevatore deve sostenere i relativi costi vengono prodotti La produzione è stimata in circa 2000 tonnellate

La lana può essere utilizzata non solo nella moda, dove sono richieste determinate caratteristiche del vello, ma anche per altre finalità: fertilizzanti, grazie alla cheratina, cosmetici, con l’estrazione di cheratina e lanolina. Ci sono utilizzi innovativi nelle bioplastiche e biomaterili, per l’isolamento termico e acustico, oppure anche come pacciamante nell’ortoflovivaismo. Insomma, la riscoperta della filiera della lana potrebbe alimentare settori diversi, oltre a dare nuove opportunità economiche agli allevatori che vivono nelle zone rurali e che hanno un ruolo importante nel monitoraggio del territorio. 

Da risorsa a rifiuto….a risorsa?

l problema è che questa filiera della lana locale, che è esistita per secoli, adesso è quasi scomparsa. Il primo problema è il lavaggio della lana sucida: il vello deve essere pulito e sgrassato dalle impurità. Oggi è rimasto solo un lavaggio attivo a Biella. 

Prima del 2002, anno in cui la lana è stata inquadrata per la prima volta come sottoprodotto agricolo da parte della Commissione Europea, questo materiale era un’entrata economica per le aziende. Ma con il regolamento del 2002 la lana è diventata un Sottoprodotto di Origine Animale, ovvero materiale di scarto: è così che la lana ha iniziato ad, essere un costo nel bilancio aziendale.

Poi nel 2009 un nuovo intervento normativo l’ha qualificata come come sottoprodotto di categoria 3; sono stati definiti requisiti per la sua commercializzazione, i criteri di trasporto, i requisiti dei magazzini di stoccaggio, la manipolazione e il commercio. In termini pratici, vi è l’inclusione della lana tra i materiali a rischio igienico-sanitario; tutto ciò necessita di ingenti investimenti negli impianti che la “ospitano”.

Diverso è il quadro normativo italiano. Come ho appreso leggendo il Manifesto delle lane autoctone, secondo il Codice Civile italiano, l’attività di produzione di lana è da considerasi ad un “attività connessa” a quella agricola e lo sono anche il lavaggio, la filatura, la tessitura e la commercializzazione delle lane prodotte da un’azienda agricola. Pertanto, la lana in Italia, si configura come vero e proprio prodotto agricolo.

Tre esperienze da conoscere: l’upcycling delle coperte in lana abruzzese di Vuscichè

Vuccichè è un brand abruzzese fondato da Diana Eugeni, che nel suo laboratorio a Roseto degli Abruzzi realizza dei capi bellissimi utilizzando delle vecchie coperte tipiche della Regione che sono state utilizzate per decenni come corredo di nozze. Attratta dalla particolarità e dalla bellezza di questi oggetti fatti interamente a mano, Diana ha iniziato a raccogliere queste coperte, spesso abbandonate in negozi di seconda mano e ritenute di poco valore.

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La lana trentina di Bollait

Perché gettare via qualcosa che ha un valore? Se lo sono chiesto Vea Carpi, Daniela Dalbosco, Stefano Moltrer, Barbara Pisetta e Giovanna Zanghellini, che nel 2016 hanno fondato Bollait, a Palù del Fersina, in Trentino. Hanno così iniziato a raccogliere la lana delle pecore allevate nella valle dei Mòcheni, sugli alpeggi del Lagorai. Con questa materia prima realizzano cuscini, coperte, trapunti, ma anche cordoncini e oggetti di artigianato

Pecore Attive e la lana delle pecore Gentile di Puglia

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Parlando di razze autoctone, sicuramente la Gentile di Puglia è una delle più interessanti, perché si tratta di un pecora merinizzata. Vengono allevate nell’Alta Murgia Barese. Filippo Clemente gestisce oggi il progetto Pecore Attive. Nelle applicazioni della gentile di Puglia studiate da Pecore Attive c’è una grande attenzione per il design e gli oggetti creati cercano di valorizzare al massimo la caratteristiche di questa fibra, che non è molto fine, ma è morbida e consistente. 

Le Lanaiole, una mappatura di tutte le iniziative in corso

Trovare piccole produzioni di lane locali o artigiani che operano in questo campo a livello italiano, non è così complicato. Se andate sul sito delle Lanaiole potete trovare una mappatura delle principali realtà suddivise per regione. Se volete metterci alla prova e entrare in contatto con questa filiera, anche per l’estate 2023 prosegue la collaborazione fra il Coordinamento Tessitori e la Casa delle Streghe nella realizzazione della scuola estiva della lana locale che si svolgerà dal 30 luglio al 9 agosto a Navelli, in provincia di L’Aquila

Cover foto di Sam Carter su Unsplash