Forse non è più sufficiente essere “sostenibili”, possiamo mandare in pensione questo termine ormai abusato: dobbiamo diventare “rigenerativi”. L’emergenza climatica ci sta facendo confrontare con cambiamenti importanti, vere e proprie catastrofi ambientali. Secondo gli esperti anche la pandemia che ha bloccato il mondo nell’ultimo anno sarebbe dovuta a questo. Lo sfruttamento sconsiderato del suolo è alla base dell’aumento dell’anidride carbonica in atmosfera e dell’inquinamento delle acque. La moda in questo ha le sue responsabilità, perché molte delle fibre utilizzate sono di origine naturale.

Il Natural Climate Solution Portfolio di Gucci

Il nuovo Natural Climate Solution Portfolio di Gucci prevede interventi di protezione e ricostituzione di foreste e di mangrovie in aree significative per la biodiversità e a rischio di deforestazione e l’adozione di pratiche di agricoltura rigenerativa all’interno della sua supply chain. Lanciando l’iniziativa Gucci ha ricordato di avere una filiera che può essere considerata “carbon neutral” già dal 2018, grazie ad azioni che permettono di ridurre e annullare le emissioni di CO2 legate alla produzione.

“Vogliamo essere parte della soluzione in favore della natura e del clima, integrando pratiche e sistemi virtuosi che trasformino la natura stessa da vittima a protagonista dei cambiamenti climatici e che alla fine determineranno il futuro del nostro pianeta”, ha dichiarato presidente e CEO di Gucci Marco Bizzarri.

Cos’è l’agricoltura rigenerativa?

Gucci non è il primo brand a muovere i primi passi nella direzione dell’agricoltura rigenerativa, ma il lancio della nuova strategia ha attirato molto l’attenzione su questo tema. Innanzitutto, cos’è?

L’agricoltura rigenerativa è un sistema di pratiche agricole alternative che sfruttano il potere delle piante per trattenere il carbonio nel suolo, aumentando la capacità del suolo di trattenere l’acqua, migliorando la resilienza delle colture e riducendo gli input eccessivi di prodotti chimici agricoli. Le fattorie rigenerative sono luoghi dove le piante vengono coltivate per aiutarsi a vicenda, magari attirando api per l’impollinazione oppure usando delle colture che intrappolano i parassiti evitando l’uso dei pesticidi.

Nell’agricoltura rigenerativa i ritmi di produzione e di crescita delle piante sono lenti, rispettano il ritmo della natura; i quantitativi prodotti sono legati all’andamento stagionale e le colture non vengono sforzate in nessun modo. E anche le persone che lavorano su questi terreni hanno ritmi di vita adeguati e non sono esposte a inquinanti. Esattamente l’inverso di quello che è successo negli ultimi decenni: spinti dalla necessità di avere più prodotto a minor prezzo e più velocemente, si è causato un forte impoverimento del suolo.

L’agricoltura rigenerativa ha anche un effetto positivo sulla decarbonizzazione: il suolo, ricco di nutrienti, sequestra infatti il carbonio dall’atmosfera attraverso la fotosintesi. Quando le piante fotosintetizzano, catturano il carbonio nell’aria e lo riportano nella terra, dove diventa cibo per microrganismi e miceli.

Fibershed e North Face: i pionieri in questo campo

Fibershed è un’organizzazione californiana no profit che dal 2010 sviluppa progetti di agricoltura rigenerativa. Sta supportando fattorie e catene produttive di materiali diversi, dal cotone alla lana, per mettere in atto un processo che chiamano “from soil to soil”: il loro obiettivo è che la materia prima venga prodotta con il minor impatto possibile e che sia trattata in maniera tale da potersi biodegradare e tornare nuovamente al suolo una volta che è terminato il ciclo di vita del capo di abbigliamento. North Face ha portato avanti una piccola capsule con loro, utilizzando lana proveniente da pecore cresciute in California, con filato realizzato in North Carolina e il capo prodotto in New Jersey.

Richard Malone ha vinto l’International Woolmark Prize per la sua collaborazione con una fattoria rigenerativa in India. Ha creato una collezione composta da capi funzionali e rispettosi dell’ambiente con l’obiettivo di creare un sistema moda circolare: ha utilizzato un metodo di tintura naturale e meno invasivo, lavorando con una realtà di tessitori qualificata di Tamil Nadu, in India e utilizzando coloranti completamente biologici a base vegetale sulla lana Merino. Il tutto è stato tracciato secondo un sistema innovativo, perché anche nell’approccio all’agricoltura rigenerativa la trasparenza è molto importante.

Richard Malone – Woolmark Prize 2020

Regenerative Organic Certification di Patagonia

Patagonia, che da sempre è seriamente impegnata sui temi della responsabilità, ha invece scelto di lavorare con delle fattore in India per produrre cotone rigenerativo, aprendo la strada su un tema molto complicato.  Sono 150, secondo il loro sito, le fattorie in India che stanno sperimentando il nuovo approccio alla produzione, che prevede metodi di coltivazione naturale, che seguono il ritmo della natura, rigenerando il suolo, rispettare il benessere degli animali e migliorare la vita degli agricoltori.

Per dare maggiore sostanza a questa esperienza, Patagonia ha anche avviato la sperimentazione di una apposita certificazione, la Regenerative Organic Certification, che dovrebbe stabilire requisiti, metodi e procedure che possano garantire il rispetto di certi standard. La Junquera è un’azienda agricola a conduzione familiare nel sud della Spagna molto all’avanguardia nell’agricoltura organica e rigenerativa che fa parte di questa sperimentazione.

Il tema dell’agricoltura rigenerativa applicata alla produzione delle fibre è una sfida affascinante, con la quale i brand si dovranno misurare nei prossimi anni. Quello che è certo è che un approccio di questo tipo non può adattarsi alla produzione di grandi quantitativi di materiale: consumare meno, produrre meno, rappresentano l’unica strada percorribile per dare un futuro al nostro pianeta.