EP30 – Economia circolare nella moda, una sfida tutta da giocare

Di economia circolare ormai si parla continuamente e tutti pensiamo di aver capito di cosa si tratta. Ma ci sono tanti aspetti da considerare per avere una visione globale della sfida che ci attende nei prossimi anni.  Ci sta lavorando la Commissione Europea, anche per mettere in campo gli adeguamenti normativi necessari, ma anche numerose organizzazioni sono impegnate sul tema. Protagonista dell’intervista di questo episodio è Fabio Iraldo, professore ordinario di Management presso la Scuola Sant’Anna di Pisa, dove dirige il PhD in Innovation, Sustainability and Healthcare, che si occupa di management dell’economia circolare da tanti anni.

The circular economy action agenda for textiles

 Ogni anno le persone buttano via abiti per un valore stimato di 460 miliardi di dollari, abiti che potrebbero continuare a indossare. Se il numero medio di volte in cui un indumento viene indossato fosse raddoppiato, le emissioni di gas serra dei tessuti sarebbero inferiori del 44%.

Questo dati li ho presi da “The circular economy action agenda for textiles” appena pubblicato da  PACE  (Platform for Accelerating the Circular Economy). Si tratta di una community che raccoglie brand, organizzazioni non governative, soggetti istituzionali e che studia l’economia circolare offrendo delle soluzioni, delle road map da seguire. Quella dedicata al tessile è appena uscita e ci fa capire bene quanto sia complesso l’approccio a questo mondo. Ma soprattutto evidenzia che si tratta di un cambiamento che non può essere messo in campo solo dai consumatori o solo dai brand o solo dalle istituzioni governative: si tratta di metter insieme tutti questi soggetti, in un percorso condiviso nel quale ognuno fa la sua parte. 

Quali sono le azioni che dovrebbero essere messe in campo secondo PACE? Hanno predisposto un vero e proprio decalogo:

  1. Incentivare e supportare la progettazione per la longevità e la riciclabilità La riciclabilità può essere realizzata utilizzando materiali sicuri e facili da smontare, oltre a concentrarsi su fibre omogenee piuttosto che su miscele complicate.
  2. Produrre fibre naturali vergini in modo sostenibile. Anche con il riciclaggio su larga scala, non sarà realistico per l’industria tessile utilizzare solo materiali riciclati nel prossimo futuro. L’azione dovrebbe quindi concentrarsi sul lavoro per produrre fibre vegetali vergini come il cotone in modo più sostenibile.
  3. Incoraggiare il mercato a usare meno vestiti e più a lungo
  4. Supportare nuovi modelli di business: come abbonamento, noleggio e ricommerce 
  5. Garantire benefici ambientali e socio-economici dove si verifica il commercio di tessuti usati. Circa il 70% dei tessuti raccolti per il riutilizzo viene inviato all’estero, ma è probabile che gran parte finisca come rifiuto anziché essere effettivamente riutilizzato o riciclato. Il commercio di tessili usati dovrebbe essere gestito per garantire benefici ambientali e aiutare a preservare le industrie locali.
  6. Pianificare strategicamente le operazioni di raccolta, smistamento e riciclaggio. La raccolta e lo smistamento dei tessuti usati è molto laborioso e gli impianti di riciclaggio sono progetti su larga scala che richiedono investimenti a lungo termine. 
  7. Aumentare l’efficienza e la qualità nella selezione dei tessuti. Lo smistamento dei tessuti è attualmente laborioso, costoso e impreciso. Migliorare l’efficienza e la qualità dello smistamento è fondamentale per il riciclaggio dei tessuti, poiché la qualità e la sicurezza dei tessuti riciclati dipendono fortemente da ciò che li contiene.
  8. Rendere competitivo il mercato delle fibre riciclate. Solo quando le fibre riciclate sono competitive sul mercato le imprese possono adottarle su scala significativa e, a loro volta, stimolare ulteriormente lo sviluppo di filiere di materiale riciclato.
  9. Integrare e promuovere il lavoro dignitoso nella transizione verso un’economia circolare per i tessili spostando l’occupazione dall’agricoltura e dalla produzione alle fasi successive della catena del valore come la riparazione, la rivendita, lo smistamento e il riciclaggio. Questo fornisce la possibilità di creare posti di lavoro di qualità superiore.
  10. Studiare gli impatti socio-economici di un’economia circolare per i tessili . Mancano ricerche adeguate per comprendere i potenziali effetti socioeconomici di una maggiore circolarità nei tessuti, quindi abbiamo bisogno di più ricerca per colmare questo divario critico di conoscenze.

EU strategy for textiles

Intanto la Commissione Europea ha puntato gli occhi sul problema. Proprio in questi giorni si è chiusa la consultazione pubblica sull’iniziativa EU strategy for textiles. L’industria della moda impiega 1,5 milioni di persone, distribuite in oltre 160.000 aziende nell’UE, la maggior parte delle quali sono PMI, con un fatturato annuo di 162 miliardi di EUR nel 2019. Gli europei consumano in media 26 kg di tessuti per persona all’anno: una quota significativa di questi proviene da paesi terzi. Ogni articolo viene utilizzato per un breve periodo, e 11 kg di tessuti per persona vengono gettati ogni anno.

Si legge nel documento “Lo scopo dell’iniziativa è stabilire un quadro globale per creare condizioni e incentivi per rafforzare la competitività, la sostenibilità e la resilienza del settore tessile dell’UE, tenendo conto dei  suoi punti di forza e vulnerabilità, dopo un lungo periodo di ristrutturazione e delocalizzazione, affrontando anche gli impatti ambientali e sociali. Garantirà la coerenza e la complementarità con le iniziative nell’ambito del Green Deal europeo, il piano d’azione per l’economia circolare, con la nuova strategia industriale e la strategia per i prodotti chimici”. Naturalmente la normativa allo studio si integrerà anche con la nuova regolamentazione sulla responsabilità estesa del produttore nella promozione di tessuti sostenibili e nel trattamento dei rifiuti tessili,  considerato l’obbligo legale di introdurre la raccolta differenziata dei rifiuti tessili entro il 2025.

Make Fashion Circular

Una iniziativa interessante lanciata nel 2017 e ancora in corso è Make Fashion Circular: unisce 60 stakeholder chiave, tra cui marchi di moda, ONG e innovatori dietro una visione condivisa, per ridisegnare radicalmente l’industria della moda. I progetti fino ad oggi includono WearNext e Jeans Redesign.

Per la riprogettazione dei jeans, Make Fashion Circular ha riunito oltre 80 esperti di denim provenienti da tutto il settore del denim, per co-sviluppare un elenco di linee guida per garantire che i jeans possano essere realizzati per un’economia circolare. Il progetto coinvolge brand leader del settore tra cui Burberry, Gap Inc., H&M Group, HSBC, Inditex, PVH e Stella McCartney come partner principali.

Le sneakers circolari

Sul tema della circolarità, ci sono tanti brand che stanno lavorando sulle sneakers: le amiamo, ma rappresentano un grosso problema ambientale: si compongono di tantissimi componenti fatti di materiali diversi e quindi rappresentano una vera e propria sfida per l’eco-design. 

Ci sono tanti brand stranieri che stanno lavorando su questo tema, ma ci sono anche interessanti esperienze in Italia: la start-up Dress-to-live ha lanciato una sneaker circolare chiamata WAO. Tutte le 12 parti delle scarpe WAO sono realizzate con materiali naturali, innovativi e sostenibili, come una tomaia in canapa e fibra di legno, soletta in sughero, fodera in cotone e suola in gomma degradabile. Alla fine del loro ciclo di vita, Dress-to-live raccoglie le scarpe e separa le parti per il compost e i rifiuti misti, alimentando i vermi con le parti organiche.

L’intervista con Fabio Iraldo

Il protagonista dell’intervista di questo episodio è Fabio Iraldo è professore ordinario di Management presso la Scuola Sant’Anna di Pisa, dove dirige il PhD in Innovation, Sustainability and Healthcare. È uno dei principali esperti di economia circolare nel nostro paese. Ho letto il libro “Management dell’economia circolare“, che ha scritto insieme a  Natalia Marzia Gusmerotti e Marco Frey e ho trovato tanti spunti interessanti

In questo settore siamo tutti pionieri e per iniziare la nostra esplorazione abbiamo bisogno di avere le coordinate giuste. Ascoltate l’intervista.

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