Ormai da anni le sneakers sono l’oggetto del desiderio di giovani e adulti: con la pandemia, il lockdown, la scoperta di un modo più comodo di vestire, adesso sono diventate un must nell’armadio di persone di tutte le età. Eppure proprio le sneakers sono uno dei capi di abbigliamento meno sostenibili che sono presenti nel nostro guardaroba: non solo hanno un impatto ambientale e sociale enorme in fase di produzione, ma rappresentano anche un grave problema al termine del loro utilizzo.

Secondo recenti stime, il mercato globale delle calzature sportive supererà i 95 miliardi di dollari entro il 2025, quasi il doppio rispetto alla valutazione del 2016 (55 miliardi). Secondo il World Footwear Yearbook, ogni anno vengono prodotte oltre 24 miliardi di paia di scarpe.

Stiamo invadendo il mondo di scarpe che non usiamo più, destinate a fare il giro del mondo prima di essere incenerite. Proprio sulla ricerca di alternative a questo modello di produzione e di consumo si basa il futuro del settore, uno dei più fiorenti in questi anni, che ha risentito pochissimo della crisi. E le sneakers sono come le caramelle per gli appassionati di shopping: ne ha un paio, ma subito dopo esce un nuovo modello ancora più scintillante e vuoi anche quello. Il marketing delle sneakers si basa proprio su questo messaggio: alimentare un appetito continuo che nessuna scarpa può saziare.

L’impatto ambientale delle sneakers

Secondo il libro di Tansy E. Hoskins “Foot Work – What Your Shoes Are Doing To The World” ogni giorno al mondo nel 2018 sono state prodotte 66,3 milioni di paia di scarpe. “Trainers are an environmental disaster”, racconta l’autrice di questo libro, nel quale ho trovato tanti spunti interessanti.

Le sneakers sono un disastro innanzitutto perché vengono prodotte in Paesi dove la catena di produzione è spesso oggetto di sfruttamento e non ha la possibilità di ribellarsi. Nella produzione delle scarpe ci si trova spesso di fronte agli aspetti più oscuri del fast fashion. La taiwanese Yue Yuen è la più grande azienda produttrice di sneakers al mondo: ha 400 mila dipendenti che operano in fabbriche in Cina, Bangladesh, Messico e altri Paesi. Non è solo il momento dell’assemblaggio a creare problemi ambientali e sociali: le sneakers si compongono di tanti materiali diversi, che vengono prodotti in aziende diverse ed è molto difficile garantire la tracciabilità e il rispetto degli standard.

La produzione di sneakers ha inoltre un grosso impatto nelle emissioni di CO2: l’1,4% delle emissioni globali di gas serra proviene da qui, il che è significativo dato che i viaggi aerei sono responsabili del 2,5% di tutte le emissioni.

Uno studio condotto dal MIT ha rilevato che un tipico paio di scarpe da corsa genera circa 13,6 chilogrammi di emissioni di CO2. La maggior parte delle scarpe da ginnastica sono fabbricate prevalentemente in plastica o materiali simili alla plastica. Tutte queste plastiche derivate dal petrolio (poliestere, poliuretano termoplastico (TPU), polietilene tereftalato (PET) ed etilene vinil acetato (EVA) producono numeri allarmanti di anidride carbonica.

Una sneakers può essere composta anche di 40 componenti diverse, in. molti casi sintetici, con aggiunta di metalli e l’utilizzo di adesivi chimici che ostacolano il disassemblaggio e il riciclo di questi materiali. Solo per fare un esempio delle materie plastiche, possono essere anche di 3 o 4 tipi diversi, prodotte in fabbriche diverse e con standard differenti. Tutto questo rende impossibile immaginare di riciclare le scarpe alla fine del loro ciclo di vita.

Che fine fanno quando vengono gettate via?

Sono destinate all’incenerimento. Possono fare un giro intorno al mondo più o meno lungo, ma alla fine è l’inceneritore a mettere fine alla vita di circa il 90% delle scarpe che gettiamo (il dato include tutte le scarpe, non sono le sneakers). Non esistono dati affidabili che riguardano solo le scarpe usate che vengono donate alle associazioni benefiche oppure che vengono gettate via: i dati disponibili riguardano abiti e scarpe usati, non sono separati. Il volume di quello che gettiamo è enorme, però, questo è certo. Direttamente proporzionale all’appetito da shopping che ci viene solleticato dalle campagne pubblicitarie.

Quando gettiamo via le scarpe usate o le doniamo a un’associazione benefica, nella maggioranza dei casi queste vengono selezionate sulla base del loro stato di conservazione. Quelle che possono essere destinate ai mercatini vintage (sempre meno, visto che la qualità di quello che acquistiamo è in caduta libera) seguono la strada del riuso; ma la grande massa di scarpe e abiti finisce invece in alcuni paesi africani, in Pakistan o nell’Europa dell’est per tentare di essere venduti a consumatori meno esigenti. Ma la fine di tutta questa storia è nel 90% l’inceneritore, perché ormai di abbigliamento usato è pieno il mondo, soprattutto ne è piena l’Africa, che ormai sta diventando una discarica.

Il futuro è la circolarità

E’ questo il motivo per il quale la circolarità è diventata un tema fondamentale per il settore delle sneakers: la massa di rifiuti che il loro consumo eccessivo sta causando non può passare inosservato e i produttori stanno iniziando a lavorare sull’eco-design per arrivare alla creazione di sneakers che alla fine possano trasformarsi in qualcosa di diverso, senza essere destinate all’incenerimento.

La sfida non è di poco conto e sicuramente anche i casi che vi segnalerò tra poco rappresentano una goccia nel mare, almeno per adesso. Si tratta di trovare un nuovo modello produttivo, di selezionare nuovi materiali, di produrre pensando già alla fine che farà il prodotto; ma garantendo quelle prestazioni che rendono le sneakers così amate.

Brand che stanno lavorando sulle sneakers sostenibili all’estero…

Sono le sneakers l’oggetto del desiderio: lo conferma anche Lyst, la piattaforma per lo shopping che trimestralmente offre una panoramica sugli oggetti più cercati sul web. Le sneakers sono sempre presenti, anche se non collegate alla ricerca di sostenibilità. Sono le Veja le sneakers vegane più desiderate, realizzate con materiali sostitutivi della pelle come il B-Mesh e una gomma organica prodotta in Brasile, a Porto Alegre. La loro filosofia produttiva è molto interessante (potete ascoltare qui la loro storia) ma il fatto che le scarpe facciano il giro del mondo prima di tornare in Europa è un aspetto del progetto che dovrebbe essere considerato.

Uno dei progetti più interessanti, che però dovremo attendere l’autunno 2021 per vedere pienamente operativo, è quello della sneakers Cyclon, prodotta dall’azienda svizzera ON Running. Cyclon nasce per essere totalmente riciclabile e questo è garantito anche dal fatto che il consumatore non acquista la scarpa ma paga un abbonamento mensile (29,95 euro) per avere a disposizione le proprie scarpe e sostituirle quando necessario. La durata prevista è di 6 mesi, con 600 km di percorrenza.

La scarpa da running Cyclon è realizzata a partire da due tipi di poliammidi di prima qualità e ad alta prestazione. La tomaia è composta da PA11, una poliammide di origine naturale, ottenuta dai semi di ricino. La parte inferiore è prodotta da un composto di poliammidi ugualmente performante, chiamato Pebax. Quindi si tratta di una scarpa di origine quasi completamente biologica, riciclabile al 100% e progettata per offrire prestazioni eccezionali.

Altra iniziativa interessante è la collaborazione in corso tra Adidas e Parley For The Oceans che ha prodotto milioni di scarpe utilizzando plastica oceanica riciclata. L’iniziativa va avanti da 5 anni,

https://www.youtube.com/watch?v=3rEdl52BqTw&feature=youtu.be

Anche Nike ha messo in campo la sua proposta innovativa in con le “Space Hippie”, realizzate con filati all’85-90% in materiale riciclato, proveniente da bottiglie di plastica, t-shirt e scarti di produzione. Non è una scarpa circolare, come non lo è nemmeno quella Adidas. Questi grandi brand stanno cercando di trovare delle soluzioni a un problema sempre più evidente, ma la soluzione è ancora lontana.

Potremmo dire che la sneakers più sostenibile è quella che avete deciso di non acquistare!

… e in Italia

Ci sono esperienze interessanti in Italia. Utilizzando la catena di fornitura altamente specializzata che si trova nel nostro Paese e impiegando materiali che proprio in Italia nascono e prendono forma, ci sono delle aziende che stanno mettendo sul mercato delle proposte interessanti.

Qualche mese fa Id-Eight, una giovane startup formata da una coppia di creativi, ha lanciato il proprio progetto su Kickstarter (li avevo intervistati qui) riuscendo a superare ampiamente l’obiettivo che il team si era prefissato. Le loro sneakers sono realizzate con materiali innovativi da artigiani italiani e un design ispirato agli anni Novanta. Non dimentichiamoci che anche l’occhio vuole la sua parte.

Poi c’è Womsh, un’azienda veneta che sta diventando un caso sempre più interessante da seguire. Il suo fondatore, Gianni Della Mora, è stato protagonista di un episodio del podcast (ascoltalo qui); l’azienda ha anche superato brillantemente l’esame di Good on You e rappresenta un bell’esempio di creatività italiana. Sono scarpe vegane, realizzate con materiali innovativi come la apple skin e che alla fine del loro uso vengono ritirate dall’azienda che le ricicla le suole e le mette a disposizione del progetto ESO Sport, un’altra eccellenza italiana.

Le suole delle scarpe diventano pavimentazione: il progetto ESO

Il progetto ESO Sport nasce per riciclare la suola delle scarpe sportive con un processo di separazione della suola dalla tomaia e la successiva lavorazione della suola, ottenendo così un granulo assimilabile a EPDM, una famiglia di gomme sintetiche. Questa caratteristica del materiale è importante e ha valore perché può sostituire e/o integrare la materia prima utilizzata per la realizzazione della pavimentazione antitrauma con la quale si realizzano le pavimentazioni degli spazi pubblici. Ad oggi sono stati realizzati “Il Giardino di Betty”, un parco giochi per bambini e “La Pista di Pietro”, una pista di atletica di 60 mt in ricordo del grande atleta Pietro Mennea.

L’obiettivo di ESO Sport è quello di creare una rete di centri di raccolta di scarpe da ginnastica usate in tutta Italia, per poterle riciclare e contribuire alla realizzazione di spazi pubblici. Il progetto ricicla anche palline da tennis e camere d’aria e copertoni. Ad oggi ESO Sport ha riciclato 541 mila paia di scarpe: rifiuti per qualcuno, risorsa per qualcun altro. E’ così che dovrebbe funzionare l’economia circolare.