La pelle è uno dei materiali più discussi da diversi anni dal punto di vista della sostenibilità: l’impatto ambientale per la produzione, legato al processo di concia, ma anche quello legato agli allevamenti degli animali, al loro trattamento, al consumo del suolo. Ma ci sono alternative sostenibili alla pelle che garantiscano le stesse capacità prestazionali e lo stesso risultato estetico? Ce ne sono già diverse e molti nuovi materiali sono allo studio, dando anche un nuovo impulso creativo al settore. Per non parlare della moda vegana, in continua crescita. Ne ho parlato anche nell’intervista di questa episodio con Gianni Dalla Mora, fondatore di Womsh, un marchio di sneakers sostenibili e circolari, totalmente circolari, che ha una linea vegana e sperimenta quotidianamente nuovi materiali.

Quanta pelle produciamo e consumiamo

La produzione mondiale di pelle è stimata in 7 milioni di metri. Ogni anno vengono utilizzate le pelli di oltre un miliardo di animali per la realizzazioni di capi e accessori che poi entrano a far parte del nostro guardaroba. Le calzature sono il mercato predominante per la pelle del mondo, un settore che vale circa 80 miliardi di dollari ed è in crescita.

Quali sono le principali caratteristiche della pelle? Le peculiarità che la rendono unica sono l’elevata resistenza, che la redine anche già durevole nel corso del tempo; la traspirabilità; l’idrorepellenza; le capacità termoisolanti. E poi la pelle non invecchia mai. Ed è bella. E’ importante prendere in considerazioni quali sono gli aspetti che la rendono un materiale così tanto utilizzato, perché per forza di cosa queste sono anche le basi per immaginare l’utilizzo di materiali sostitutivi. 

La pelle può mai essere considerata ecologica? si, se viene trattata con la concia al vegetale, utilizzando sostanze che non sono dannose per l’uomo e per l’ambiente e se la materia da trattare proviene da allevamenti di animali che sono utilizzati per la produzione di carne. In questo caso il pellame potrebbe essere considerato un materiale di scarto.

Il traffico di animali vivi raccontati in un’indagine della PETA

Qualche giorno fa la PETA, l’organizzazione internazionale che si occupa dei diritti degli animali, ha pubblicato un’indagine scioccante, dedicata al traffico di animali vivi. La potete vedere qui, ma ci sono immagini molto forti, vi avverto. Gli animali fanno viaggi lunghissimi intorno al mondo per raggiungere i macelli, partendo dalle zone dove vengono allevati. La stragrande maggioranza di questo traffico da animali è per uso alimentare e la pelle diventa quindi un materiale che viene lavorato come scarto della macellazione. I dati globali relativi al trasporto di animali vivi sono sconcertanti: circa due miliardi di animali all’anno, secondo un recente rapporto di The Guardian. 

Ci sono poi paesi, come la Turchia, che hanno sviluppato una industria per la lavorazione delle pelli, che esporta in tutto il mondo i semilavorati, anche in Italia. Il problema è che è impossibile tracciare la provenienza e le condizioni di vita degli animali che vengono utilizzati per la pelletteria: la tracciabilità inizia sempre dal macello, quando la vita dell’animale sta per finire e di quello che è stato prima si sa ben poco.

Cos’è il Leather Working Group

Il protocollo Leather Working Group  è stato promosso da un’organizzazione internazionale per valutare le prestazioni ambientali e sociali dei produttori di pelletteria lungo tutta la filiera, dai produttori, ai fornitori e fino ai brand. Nasce per individuare uno standard comune da applicare all’industria della pelletteria per monitorare le prestazioni, tracciare la filiera, impostare azioni di miglioramento. Negli ultimi sta prendendo campo e diversi brand lo richiedono, ma non è ancora molto diffuso.

Poi ci sono anche brand, come Stella Mc Cartney, che hanno deciso di eliminare la pelle dalle proprie collezioni, sperimentando materiali alternativi. Stella Mc Cartney ha una sezione sul sito dedicata alla “pelle vegetariana”, dove spiega le ragioni della sua scelta. Ma se non è pelle, si può chiamare lo stesso “pelle vegetariana”?

E’ vegana, ma non è pelle

Nell’episodio 16 “Le parole chiave della sostenibilità: un’analisi delle ricerche sul web” abbiamo scoperto come “pelle vegana” sia una delle ricerche che registra la maggior crescita a livello mondiale. D’altra parte il mercato del vegan è in grande ascesa, soprattutto per le borse: si stima una crescita del 49,9% da qui al 2025.

Ma se non è pelle, si può chiamare “pelle vegana”? La risposta è no. Non si può chiamare pelle quello che non è fatto di pelle. Lo stabilisce una recente legge, frutto di un grosso lavoro di sensibilizzazione fatta da UNIC, l’associazione nazionale dei conciatori.

Riordinando una normativa obsoleta, del 1966, la legge cerca di definire in maniera più attuale la terminologia legata alla pelle e al cuoio e stabilisce l’espresso divieto dell’uso delle parole pelle e cuoio, per identificare materiali non derivati da spoglie di animali. Quindi non si potranno più usare i termini pelle vegana o similari per indicare materiali che sono stati realizzati con altri materiali non di origine animale. Un intervento legislativo che era necessario in un mercato dove si fa spesso confusione tra i materiali utilizzati, soprattutto mettendo in difficoltà il consumatore che spesso non sa cosa sta comprando. Quella che viene chiamata eco-pelle, che è fatta con derivati dal petrolio o PVC, ha poco di “eco”, sia in termini di produzione che di smaltimento. Ma spesso il consumatore non lo sa e cade in confusione.

Le alternative alla pelle

Ci sono delle alternative alla pelle e di alcune abbiamo già parlato. Ad esempio Pinatex, un materiale che proviene dall’ananas. Oppure Apple Skin, che proviene dagli scarti della mela. Questa è tra l’altro un’idea italiana, perché le nostre aziende stanno lavorando molto su questo tema. C’è anche Muskin, un materiale dalle caratteristiche simili alla pelle che proviene dai funghi, anche questo made in Italy. Così com’è italiano Wineleather, il materiale ricavato dagli acini d’uva, che ha vinto anche il premio H&M per l’innovazione sui materiali.

Sta andando forte anche la ricerca sulle biotecnologie: l’americana Modern Meadow lavora su questo tema da anni e ha lanciato da pochi mesi ZOA, un materiale realizzato con proteina del collagene prodotto attraverso la fermentazione dal lievito in un laboratorio con il supporto della biotecnologia. Insomma, l’industria dei materiali è in fermento e sicuramente potrà dare anche un grande stimolo alla creatività.

Le sneakers sostenibili di Womsh

In questo campo la ricerca sta facendo passi da gigante ed è un mondo tutto da esplorare. Le alternative possono essere molto interessanti, a condizione che garantiscano un risultato estetico interessante e capacità prestazionali simili alla pelle.

Gianni Dalla Mora, fondatore del marchio di sneakers Womsh, nato 5 anni fa, ha iniziato fin da subito a lavorare per creare delle sneakers sostenibili, circolari, totalmente made in Italy e naturalmente bellissime.