E se la sostenibilità finisce nell’oggetto sociale, come uno degli obiettivi aziendali, misurabile e rendicontabile? Non sono profit, non sono no profit, sono società benefit e rappresentano la terza via che un numero sempre maggiore di aziende sta abbracciando. Una scelta che va distinta dalla certificazione B-Corp, ma che va nella stessa direzione. Soprattutto rappresentano un gesto concreto per cercare di arginare il fenomeno del greenwashing e per evitare che un numero sempre maggiore di imprese si definiscano “sostenibili” senza capire su quali basi. Anche la Commissione Europea si è accorta di questo fenomeno e solo allo studio provvedimenti interessanti.
Le società benefit sono una grande opportunità per le aziende che vogliono approcciare con serietà il tema della responsabilità: ne parlerò nell’intervista di questo episodio con Irene Sanesi, Dottore commercialista, socio fondatore e partner di BBS-pro Ballerini Sanesi professionisti associati e di BBS-Lombard con sedi a Prato e Milano, specializzata in economia della cultura.
Cosa sono le società benefit
La società benefit è una vera e propria forma societaria che consente di integrare l’oggetto sociale dell’impresa con la descrizione degli impatti sulla società e ambiente che l’impresa di impegna a perseguire nel suo operato.
Per vigilare che l’azienda non usi la denominazione ‘benefit’ per fare pubblicità ingannevole, è obbligatorio redigere una relazione annuale per spiegare quali attività ‘benefit’ sono state condotte, fornendo anche una valutazione dell’impatto di queste azioni. Questa relazione sul perseguimento del “beneficio comune” (si chiama così in termini tecnici) della società benefit, viene depositata con il bilancio e deve essere inoltre accessibile a tutti dal sito web dell’azienda.
Proprio nel campo delle società benefit, l’Italia è arrivata per prima: le società benefit sono nate negli USA nel 2012 e l’Italia è stata il primo Paese europeo a inserirle nel proprio ordinamento nel 2016. Altri Paesi stanno lavorando per prevedere questo modello, che di fatto avrebbe anche il lato positivo di rendere più semplice a consumatori e stakeholder capire con quale tipo di azienda hanno a che fare. Non è prevista nessuna agevolazione e nessun beneficio fiscale per la loro costituzione, quindi chi sceglie questa strada deve essere animato da una sincera motivazione!
Cos’è la certificazione B-CORP
Quello delle B-CORP si definisce come un movimento globale che raccoglie imprese di tutti i settori che si impegnano per generare un impatto positivo sui loro dipendenti, l’ambiente, la comunità in cui operano, la catena di fornitura. L’approccio utilizzato da questo movimento, nato negli USA ma che è ormai diventato globale, è quello di aiutare le aziende a misurare le proprie performance e soprattutto a mettere in campo una strategia di miglioramento. Sul sito internet è disponibile gratuitamente il B Impact Assessment, che ogni azienda può compilare con un po’ di impegno. E’ un questionario suddiviso in 5 sezioni: governance, workers, community, environment, consumer.
Al termine della compilazione viene attribuito un punteggio all’azienda, che va da 80 a 200. Se si raggiunge il punteggio di 80 si può avviare il percorso di certificazione. A questo punto l’azienda può decidere di certificare il suo punteggio e quindi usare il marchio B-CORP e comunicare il risultato raggiunto. Deve quindi sottoporsi a un audit, dove verranno chieste le prove documentali di quanto dichiarato. Se il punteggio viene confermato, l’azienda firma la dichiarazione di interdipendenza e si impegna ad essere pienamente trasparente sui punti Il costo della certificazione è collegato al fatturato dell’azienda. La certificazione B-CORP sta prendendo piede anche in Italia e nel fashion ci sono le prime aziende certificate: il primo brand a certificarsi è stato Save the Duck, la prima azienda tessile è stata REDA.
Perché possono essere uno strumento per arginare il greenwashing?
Le società Certificate B-Corp e le Società benefit, che sono due cose diverse, ma anche complementari: le aziende che conseguono la certificazione B Corp si impegnano anche ad adottare lo status giuridico di Società Benefit per mantenere la certificazione. Quello che è importante è che questi strumenti aiutano le aziende a misurare i propri risultati, a prendere un impegno serio e concreto.
John Grant è uno dei teorici del green marketing e nel suo “manifesto del green marketing” dice: “Ecologia e marketing possono remare l’una contro l’altro: una vuole farvi consumare di meno, l’altra di più. Una rifiuta il consumismo, l’altra lo alimenta. Ma non sempre sono in opposizione. Il marketing può contribuire a vendere nuovi stili di vita, una funzione quanto mai necessaria oggi di fronte all’urgenza di limitare il cambiamento climatico”.
C’è chi su questi aspetti sta giocando molto, ma non lo potrà fare per molto. L’Europa ha puntato il dito contro il greenwashing.
Cosa sta facendo la Commissione Europea per combattere i green claim?
La Commissione Europea ha appena concluso la consultazione pubblica per stabilire l’impatto dei “Green claim” sui consumatori e stabilire le modalità corrette per la comunicazione degli aspetti ambientali. Una prima bozza della normativa è attesa per la primavera 2021 e ci saranno delle sorprese
“Oggi è difficile per i consumatori, le aziende e gli altri attori del mercato dare un senso alle numerose etichette e iniziative ambientali sulle prestazioni ambientali di prodotti e aziende – si legge nei documenti della Commissione – Ci sono più di 200 etichette ambientali attive nell’UE e più di 450 attive in tutto il mondo; ci sono più di 80 iniziative e metodi di rendicontazione ampiamente utilizzati solo per le emissioni di carbonio. Alcuni di questi metodi e iniziative sono affidabili, altri no”
Il greenwashing inganna gli attori del mercato e non offre il dovuto vantaggio a quelle aziende che si stanno impegnando per rendere verdi i loro prodotti e le loro attività. Per affrontare questo problema, il Green Deal europeo afferma che “le aziende utilizzano Green claim dovrebbero convalidarle rispetto a una metodologia standard per valutare il loro impatto sull’ambiente”. E come possono farlo? Secondo il piano europeo per l’economia circolare, dovranno utilizzare la PEF, Product Enviromental Footprint, che serve per la valutazione del ciclo di vita. Con la PEF le prestazioni ambientali sono calcolate prendendo in considerazione gli impatti ambientali lungo l’intera catena di valore, dall’estrazione/coltivazione delle risorse fino alla fine del ciclo di vita del prodotto o della gamma di prodotti di un’organizzazione. I metodi consentono di calcolare gli impatti ambientali sulla base di 16 “categorie di impatto”.
Secondo la Commissione, con l’utilizzo di uno strumento condiviso di misurazione, le affermazioni sulla prestazione ambientale di aziende e prodotti potranno essere affidabili, comparabili e verificabili in tutta l’UE. Informazioni ambientali affidabili consentirebbero agli attori del mercato – consumatori, aziende, investitori – di prendere decisioni più ecologiche.
Irene Sanesi ci porta alla scoperta delle società benefit
Le Società benefit possono essere un valido strumento per le aziende che sono impegnate in una seria strategia di sostenibilità. Rappresentano una scelta importante, ma sicuramente coerente per chi ha voglia di fare sul serio. Come è possibile fare questa transizione? Me lo ha spiegato benissimo Irene Sanesi, dottore commercialista, Socio fondatore e partner di BBS-pro Ballerini Sanesi professionisti associati e di BBS-Lombard, nell’intervistadi questo episodio.
Buon ascolto
Buongiorno
podcast e articolo molto interessanti. E vero che i “Green claim” stanno ingannando i consumatori; speriamo che la normativa attesa dalla Commissione Europea per la primavera 2021 possa regolare le informazioni sulla prestazione ambientale di ciascuna azienda.
Vorrei chiederti se la PEF è gia utilizzata negli stati uniti?
Grazie
Saluti