Riciclate, riciclabili, bio-based: quando si parla di poliammide e poliestere questi termini vengono utilizzati sempre più spesso. Ma cosa significato? E soprattuto qual è il futuro di questi materiali di origine sintetica molto impiegati nella moda?
L’ospite di questo episodio è Maria Teresa Betti, che fa parte del Sustainability Team di Radici Group, un’eccellenza italiana che opera in questo settore da anni, una “multinazionale familiare che si basa sulla misurazione degli impatti per la costruzione di alternative credibili.
Riciclato e riciclabile: quanto c’è di vero in etichetta
Riciclato e riciclabile: adesso la moda si è innamorata di questi due termini e vengono usati nelle schede prodotto dei capi in vendita: tanti brand cercano di darvi a intendere che i capi che state acquistando sono stati realizzati con materiale riciclato e che alla fine della loro vita saranno riciclabili. Ma quanto è vero?
Quando ci viene detto che un capo è riciclato, non possiamo sapere in che percentuale sia presente una materia prima riciclata. Può essere che solo il 15% della materia prima sia riciclata, ma che questo sia sufficiente per far comparire la parola magica in etichetta. Come lo potete verificare? Andando a spulciare tra la documentazione che a volte viene messa a disposizione sui siti: capitolati e documenti di questo tipo, dove è possibile svelare l’arcano. Ma chi non ha voglia di fare una ricerca così attenta, si fida di quanto gli viene dichiarato e cade nel tranello.
Sia ben chiaro, il brand che utilizza questa tecnica non infrange nessuna legge: ad oggi solo l’etichetta di composizione di un capo è obbligatoria e ne va verificata la veridicità. Ma non esiste una codifica internazionale per i materiali riciclati in etichetta: si scrive lana, non lana riciclata; si scrive nylon, non nylon riciclato. Non è prevista l’indicazione della materia prima riciclata. E allora ognuno è libero di farsi le regole da solo e di decidere che può essere chiamato riciclato un prodotto che contiene solo il 15% di materia riciclata.
Quando poi su un capo trovate la scritta “riciclabile”, drizzate le antenne perché è molto probabile che vi stiano dicendo una bugia. Qualche settimana fa ho fatto un post sul magazine dedicato alle nuove linee guida sulla circolarità nel tessile predisposte da Fashion Positive dove questo si dice chiaramente: allo stato attuale della tecnica, sono pochissimi i casi in un cui un capo può dirsi riciclabile. Magari può essere riciclabile una delle materie prime di cui è composto, ma per essere predisposto per il riciclo, quel capo deve essere smontato, i vari componenti devono essere disassemblati e spesso questo processo viene fatto a mano. E’ anche vero che intorno a questo tema c’è molta ricerca, è il tema del momento, e sono certa che nel giro di qualche mese verranno fuori soluzioni interessanti. Ma quell’etichetta che accompagna il capo e vi rassicura con la parola “riciclabile” si riferisce al capo d’abbigliamento, non alla singola materia, e allora ancora una volta il tranello è in agguato.
Riciclo meccanico e riciclo chimico
Il riciclo meccanico è quello più utilizzato per il riciclo del poliestere. Dopo un’accurata fase di selezione del materiale, si provvede al lavaggio del materiale e all’estrusione, che fonde la plastica e rende il materiale nuovamente disponibile. Questa è la tecnologia ampiamente utilizzata oggi dal mercato, anche perché risulta quella meno impattante. Radici Group, specializzata in questo tipo di processo, ha misurato con attenzione gli impatti della lavorazione.
L’alternativa è il riciclo chimico del poliestere, che avviene tramite un processo che scompone il poliestere nelle sue materie prime, le purifica e le converte in nuove particelle, ma la sua disponibilità su scala commerciale praticabile è limitata.
Patagonia è stato il primo brand ad utilizzare il riciclo chimico, anche se la sperimentazione non ha dato i risultati desiderati. Si legge nel sito: nel 2005, una nuova tecnologia per riciclare chimicamente il poliestere ci ha permesso di diversificare le tipologie di prodotti riciclati nella nostra linea di produzione. In aggiunta alla possibilità di recuperare una più ampia gamma di prodotti in poliestere destinati allo smaltimento dei rifiuti, questo nuovo processo chimico ha reso possibile riciclare gli stessi capi Patagonia in poliestere, dismessi e non più utilizzabili, trasformandoli in indumenti nuovi. È stata la nostra prima incursione nel territorio dell’”economia circolare” e la prima volta che siamo stati in grado di contribuire alla creazione di un materiale “grezzo” con cui realizzare i nostri stessi prodotti. Pur essendo un’idea valida, non ha tuttavia innescato cambiamenti significativi nel settore e, alla fine, anche per noi è diventata un’opzione di minore rilievo.
Il problema della selezione
La vera sfida è il riciclo da tessuto a tessuto, ma è molto complicata e la fase più critica è quella della seleziono. EVRNU, un’azienda con sede a Seattle, ha trascorso gli ultimi sei anni a sviluppare una tecnologia in grado di identificare con precisione le diverse fibre in un indumento utilizzando l’intelligenza artificiale e la scansione profonda per separare le fibre rapidamente e con altissima precisione.
L’azienda è titolo del brevetto Nucycl, che permette ai prodotti realizzati di essere smontati a livello molecolare e rigenerati più volte in nuovi indumenti, tessuti per la casa e industriali con prestazioni straordinarie e vantaggi ambientali. La tecnologia utilizza la ripolimerizzazione per convertire le molecole di fibre originali in nuove fibre rinnovabili ad alte prestazioni. Stella Mac Cartney ha recentemente lanciato una capsule con realizzata con materiali Nucycl che ha chiamato Infinite Hoodie.
Il problema delle microplastiche
Quando poi si parla di materie prime di origine plastiche, non possiamo dimenticare il problema del rilascio delle microplastiche nelle acque. Anche se la materia è riciclata, quando il capo è messo in in lavatrice, perde microfibre di plastica che finiscono nei nostri oceani, fiumi e inquinano il suolo. Il numero di microfibre di plastica accumulate nell’oceano entro il 2050 potrebbe arrivare a superare i 22 milioni di tonnellate e, in modo allarmante, uno studio condotto nel 2015 le ha trovate nel 67% di tutti i prodotti ittici nei mercati ittici della California.
I materiali bio based
Ed eccoci ai materiali bio-based: si tratta di materiali o prodotti che siano interamente o parzialmente derivati da biomassa, piante e vegetali
La capacità di produzione globale per la poliammide biobased è di circa 0,24 milioni mt . Si stima che la quota di fibre di poliammide biobased è inferiore all’1% del mercato della fibra di poliammide . Quindi stiamo parlando di una percentuale davvero molto bassa. In molti casi viene utilizzato l’olio di ricino per la sua produzione: questo materiale si è dimostrato più sostenibile di altre alternative come l’olio di mais o l’olio di canna da zucchero, grazie al fatto che non è utilizzato per l’industria alimentare e cresce nelle aree desertiche.
C’è poi il poliestere bio based. La quota di mercato del poliestere biobased è stimato a meno dell’uno percento di la produzione totale di poliestere . In questo caso l’obiettivo è ridurre le emissioni di gas serra che vengono immesse per portare a termine il processo. I poliesteri biobased includono PET biobased ma anche altri poliesteri come PLA o PTT biobased.
Ci sono delle aziende che hanno lanciato delle linee di produzione in entrambi questi campi, ma sono ancora a livello sperimentale e non possono rappresentare un’alternativa
L’intervista a Maria Teresa Betti di Radici Group
Tutti questi temi di cui abbiamo parlato fino ad ora li ho affrontati anche nell’intervista con Maria Teresa Betti, che fa parte del Sustainability team di Radici Group. Mi ha spiegato che tutti i prodotti che adesso vengono prodotti dall’azienda sono riciclabili e come questo sia possibile. Abbiamo anche parlato di misurazione degli impatti e di nuovi materiali, oltre che di eco-design. E anche di microplastiche: ho avuto un quadro chiaro delle opportunità e anche delle criticità, perché solo focalizzandosi su quello che c’è da migliorare si possono mettere in campo soluzioni concrete. Buon ascolto.