L’impatto ambientale della produzione di fine animali è un tema di cui si parla molto: ci sono indagini, ricerche, misurazioni. Il confronto tra fibre sintetiche e fibre animali si basa su questi numeri, che ci offrono uno strumento di riflessione. Ma ci raccontano solo una parte della storia.
Qualche settimana fa ho partecipato alla conferenza Natural Fibre Connect a Biella: c’erano allevatori provenienti da tutto il mondo, per portare la propria testimonianza sulle difficoltà che il settore sta attraversando, che volevano capire indicazioni come migliorare il proprio lavoro.
Tante storie diverse, che però hanno un punto in comune: si tratta di storie di persone, di famiglie, di villaggi, a volte in zone poco ospitali dove l’allevamento è veramente l’unica attività possibile. In queste situazioni il destino dell’allevatore e dell’animale strettamente connesso.

Queste persone sono i guardiani di angoli della Terra che senza di loro sarebbero abbandonati e fanno i conti tutti i giorni con le difficoltà create dal cambiamento climatico. Proprio così: sulla loro attività la desertificazione, le piogge abbondanti, il ritiro dei ghiacciai, hanno un impatto fortissimo. E questo dato come lo misuriamo?

Ne ho parlato in questo episodio del podcast con: Susan Finnigan, di Kia Ora Merin; Juan Pepper, Chairman di Alpaca Association; Frances Van Hasselt, Direttrice di Mohair South Africa.

Il cambiamento delle condizioni climatiche con il riscaldamento globale influenza la vita di tutti gli esseri viventi:  provoca improvvisi sbalzi di temperatura, con conseguente diminuzione della disponibilità di mangime e acqua e una diminuzione delle specie e della diversità delle piante nei pascoli. L’allevamento ovino e caprino è basato sull’allevamento al pascolo. I cambiamenti nella disponibilità di risorse alimentari e idriche causano stress all’animale. Lo stress facilita la contrazione delle malattie e aumenta l’uso di farmaci per la cura. L’uso di farmaci provoca perdite nella produzione animale e riduce la qualità del prodotto che può essere trasformato. Le elevate temperature ambientali, insieme all’umidità relativa, al flusso d’aria e alla radiazione solare, aumentano la temperatura corporea al di sopra dei livelli critici. Sotto l’influenza dello stress da calore, gli animali riducono l’assunzione di cibo e la capacità digestiva e di conseguenza l’assorbimento dei nutrienti è minore. In questo caso, la riproduzione sarà la prima ad essere colpita, seguita dalla produzione e dalla crescita. 

Tutti questi fattori avranno un impatto sulla qualità della lana, sulla sua resa e, in ultima analisi, sull’industria della lana. E anche sul costo della fibra.  A causa della variabilità climatica, è difficile produrre e mantenere lana di buona qualità per l’abbigliamento, mentre la lana di qualità grossolana è più resistente ai cambiamenti climatici.

L’approccio rigenerativo

L’agricoltura rigenerativa può essere una soluzione: applica metodologie a volte recuperate dal passato, ma supportate da basi solide basi scientifiche, per utilizzare il suolo permettendo la convivenza di più specie vegetali ed evitando quindi lasciare il terreno arido. Lasciare un terreno spoglio dopo l’aratura e la raccolta della componente vegetativa accelera la decomposizione della sostanza organica e libera CO2 in atmosfera; inoltre il terreno è più esposto a pioggia e vento, e così si aumenta l’erosione e il rischio di dissesti idrogeologici. 

In un approccio rigenerativo far convivere piante ed erbe diverse ha la funzione di apportare alla terra le sostanze nutritive necessarie.In altre parole non si tratta solo di mitigare gli effetti di impoverimento del suolo ma di incrementare il carbonio organico presente, la disponibilità di elementi minerali e l’attività microbiologica. E’ un percorso che gli allevatori di Mohair South Africa stanno portando avanti, ma richiede investimenti, formazione, ricerca. E quindi gli allevatori hanno bisogno di essere supportati nella conversione.

Le sfide del futuro

La produzione delle fibre animali sta attraversando un momento molto delicato. Da una parte il dibattito tra fibre animali e fibre sintetiche, con i sostenitori dell’una e dell’altra che usano i dati sugli impatti ambientali per far spostare l’ago della bilancia e le preferenze dei consumatori da una parte o dall’altra. Misurazioni fatte sulla base di metodologie ancora molto discusse, come quelle relative alla LCA, dove non si tiene in considerazione l’aspetto umano e culturale, che è quello che ho cercato di raccontarvi in questo episodio.

E’ anche vero che il mondo degli allevatori deve mettersi in gioco e deve essere educato per usare pratiche che abbiano un ridotto impatto sugli animali e per il rispetto del territorio: mitigare gli effetti del cambiamento climatico e riuscire a fronteggiare le difficoltà dei mutamenti in corso richiede anche preparazione. In questo credo che debbano essere aiutati anche da chi utilizza le fibre, perché l’oscillazione dei prezzi e l’incertezza sui quantitativi disponibili sicuramente non lasciano spazio per programmare grandi investimenti. E poi c’è la sfida dell’approccio rigenerativo, che non può essere rimandata. Tanto lavoro da fare che non è rimandabile: il cambiamento climatico avanza più velocemente del rinnovamento del settore.

Buon ascolto!

Cover Photo di Fabien Moliné su Unsplash