Una montagna di abiti usati, un magazzino pieno di colori: questa immagine potrebbe rappresentare l’emblema dello spreco. Ma in un angolo una modella con un abito elegante e una designer che la sta sistemando ci fa capire che quegli abiti non sono destinati alla discarica, che possono tornare ad essere qualcosa che può essere nuovamente indossato, protagonisti di outfit bellissimi. E’ questa la copertina che il National Geographic ha scelto per raccontare nel numero di marzo “The end of trash“. Una storia virtuosa, tutta italiana, perché non dobbiamo dimenticare che l’Italia è ancora oggi considerata una delle capitali dell’economia circolare nel mondo, anche se altri paesi europei cercano di rubarci il primato. Ma per adesso lo scettro è nostro. grazie anche al lavoro straordinario fatto da Prato con gli abiti usati.

Non correte in edicola ad acquistare una copia del giornale, perché l’edizione italiana ha scelto di non dedicare la copertina alla storia italiana. Ma nella maggioranza dei paesi dove il National Geographic è presente l’esempio virtuoso dell’Italia ha conquistato la prima pagina.

Il giornalista Robert Kunzig nel suo articolo (che trovate anche nell’edizione italiana) ci guida in un viaggio alla scoperta dei casi di economia circolare in tutto il mondo e anche in diversi settori: energia, metalli, cibo, agricoltura e abbigliamento. E proprio quando analizza la situazione del fashion, ci si imbatte nella storia di Prato. Un distretto che da oltre un secolo ricicla la lana degli abiti usati, che lo faceva anche quando si chiamavano “stracci” e farlo non aveva alcun valore positivo. Una lavorazione nata per trovare una soluzione alla penuria di materie prime: la lana era un materiale pregiato, ma in Italia non c’erano allevamenti di pecore. E allora perché non trovare il modo di riutilizzare quella usata?

Su questa lavorazione Prato ha costruito la propria storia e la propria fortuna ed è questo l’elemento che ha convinto la redazione centrale del National Geographic a dedicare la copertina a questa storia di economia circolare: nel suo viaggio Robert Kunzig parla di aziende che stanno portando avanti progetti anche ambizioni in questo ambito, ma si tratta sempre di esperienze limitate, che coinvolgono le scelte di un pubblico limitato. A Prato c’è un distretto intero che lavora con il riciclato e che negli ultimi si trova al centro dell’attenzione mondiale. Praticamente qui hanno iniziato a fare economia circolare molto prima di sapere che si chiamava in questo modo.

Come funziona la lavorazione del riciclato a Prato?

A Prato arrivano da tutti Europa i sacchi con gli abiti usati. Viene fatta una prima selezione per togliere gli abiti che possono essere destinati al second hand e quelli che invece sono destinati al riciclo. Si fa quindi una selezione di materiali e si selezionano quelli che contengono lana. A questo punto vengono tolti bottoni, cerniere, zip, etichette. Il materiale viene selezionato per colore e viene avviato al processo di riciclo. Viene selezionato per colore perché un altro fattore positivo di questo tipo di lavorazione è che non viene effettuata la fase di tintura: la fibra è già colorata e quindi una fase molto inquinante della lavorazione tessile viene risparmiata.

Gli abiti usati tornano ad essere fibra grazie alla lavorazione di carbonizzo che viene effettuata all’interno della Comistra. In questa azienda, che è stata il set del servizio fotografico, c’è infatti l’ultimo carbonizzo a vapore presente al mondo. L’azienda compie cento anni quest’anni e da generazioni porta avanti la lavorazione, al servizio di tutte le aziende del distretto. Alla fine del ciclo industriale abbiamo la fibra riciclata, che a Prato si chiama “lana meccanica” per distinguerla dalla lana vergine, che è pronta per diventare protagonista di nuove creazioni.

L’eco-design e le creazioni di Flavia La Rocca

I materiali che vengono realizzati con la fibra riciclata di Prato sono di altissima qualità e sono molto apprezzati sul mercato. Flavia La Rocca, protagonista della copertina, è una delle ambasciatrici dell’eco-design nella moda e da tempo utilizza questi materiali per le proprie collezioni. Flavia La Rocca è stata protagonista di uno degli episodi del podcast e potete ascoltarlo per scoprire la sua filosofia creativa, tutta incentrata sull’economia circolare: “Episodio 3: Eco-design per la moda, la sfida dell’economia circolare”

A volte l’Italia ci regala straordinarie storie da copertina, che ci parlano delle persone che ogni giorno con impegno portano avanti il proprio lavoro, sperando di fare qualcosa di buono per il pianeta. Ma sull’economia circolare l’articolo del National Geographic ci lascia con l’amaro in bocca.

“L’economia circolare è un sogno che sta spingendo molta gente a darsi da fare. Ma – se mi è concesso concludere con una nota spiacevole – non è affatto una realtà. Se non ci lasciamo abbagliare da certi risultati positivi (…)il divario di circolarità sta crescendo, non diminuendo”, conclude Robert Kunzig nel suo articolo.

Perché conosco così bene la storia di questo lavoro?

Perché ho avuto l’onore di far parte del team che ha realizzato la cover. Lasciatemi ringraziare il resto dei professionisti che ha composto questo straordinario team:

Servizio fotografico a cura di Luca Locatelli ; Federico Vandone (digital); Anna Iuzzolini (photo editor), Gabriele Galimberti (light direction); Chiara Mirelli (video). Giulia Ceccherini (make up); Flavia La Rocca (fashion designer) e poi io, Silvia Gambi (producer)

Ecco il link all’articolo integrale The End of Trash