E’ un settore in enorme espansione, che sta faticosamente cercando di iniziare un percorso di sostenibilità, per ridurre l’impatto ambientale della produzione: i tessuti spalmati sono sempre più protagonisti della moda, soprattutto per il boom dei materiali alternativi alla pelle che stanno scalando il mercato. Tra il processo di produzione e le sostanze chimiche utilizzate, però, ci sono diverse criticità che devono essere risolte. La Gommatex è riuscita a ridurre al minimo l’impatto con Akkadueo® Bio, un coagulato in poliuretano privo di solventi chimici dannosi, con una componente Bio Based nella materia prima poliuretanica. Il tema è abbastanza tecnico, ma Alessandro Artusi, direttore di produzione di Gommatex e protagonista dell’intervista, è riuscito a farmi comprendere anche processi complicati.
Cosa sono i tessuti spalmati
Secondo l’enciclopedia tessile, per tessuto spalmato si intende un tessuto di supporto su cui è stata applicata una patina di materiale plastico. Perché si adotta questo processo? per conferire ai capi nuovi aspetti, nuove mani e nuove perfomance.
E’ un processo industriale che ha un impatto ambientale importante: per l’uso di acqua, ma anche per la quantità di energia necessaria per il processo di lavorazione. E poi anche per la necessità di utilizzare poliuretani o PVC che hanno di fatto una origine fossile, che derivano dal petrolio.
Poliuretano o PVC?
Come si realizza un tessuto spalmato? C’è una base di tessuto, che può essere di materiali diversi a seconda dell’effetto che si vuole ottenere. La spalmatura viene realizzata impregnando o spalmando un tessuto con delle resine. I polimeri che vengono usati sono prevalentemente due: il PVC e il poliuretano (PU). Il PVC è estremamente duraturo, ma anche difficile da smaltire e da riciclare. Anche i processi produttivi per ottenerlo sono meno sostenibili, a cominciare dal fatto che per renderlo più elastico devono essere aggiunti dei plastificanti. Quindi si tratta di un materiale fossile.
Per questi motivi, per prodotti di alta qualità viene generalmente preferito il poliuretano, dotato anche di resistenze e caratteristiche fisiche e meccaniche superiori. In questo campo la ricerca sta facendo passi da gigante: ci son aziende che stanno cercando di sviluppare prodotti bio-based, derivati da particolari lavorazioni del mais, del cocco e perfino dagli scarti della lavorazione della frutta. Queste resine non sono di origine fossile, ma vegetale, e quindi l’impatto ambientale è molto minore.
Il fine vita dei tessuti spalmati
La presenza di PVC, che abbiamo visto essere più impattante, o di poliuretano a base sintetica rendono difficile la riciclabilità di questi materiali e la gestione del fine vita di questi prodotti è un punto importante. Ma anche in questo caso ci sono molte ricerche in corso e sono certa che il prossimo anno su questo tema potrei darvi delle informazioni diverse. Se l’obiettivo è quello di rendere i materiali alternativi alla pelle una reale alternativa (perdonatemi il gioco di parole), affrontare il tema della circolarità è centrale. Ad oggi nella maggiornza dei casi vengono immessi sul mercato prodotti che hanno una forte pencentuale di plastica al proprio interno e non è sempre facile avere certezza sul contenuto di quell che acquistiamo.
Una certificazione per i prodotti bio-based
Non c’è una certificazione sul mercato che garantisce quale sia il reale contenuto di materiale biobased all’interno di un prodotto: quindi se compro un materiale alternativo alla pelle pensando che sia di origine vegetale, non posso scoprire se contiene anche poliuretani o altri materiali plastici di supporto, a meno che non faccia delle analisi specifiche. Negli Stati Uniti loUSDA’s BioPreferred Program è la certificazione per i prodotti Biobased e ci sono dei laboratori specializzati che individuano l’eventuale presenza di massa fossile, anche segnalandone la percentuale.
Poliuretani bio-based, la ricerca muove i primi passi
La novità più interessante è rappresentata dai poliuretani bio-based, che quindi non hanno contenuto di materiale fossile.
Ho consultato il report di Textile Exchange sui Preferred Materials per darvi informazioni aggiornate su questo tema, visto che contiene sempre una mappatura delle innovazioni e posso confermare che molti dei materiali alternativi alla pelle che oggi sono sul mercato e che vengono pubblicizzati per essere realizzati con piante o scarti alimentari, in realtà contengono anche una buona parte di poliuretano fossile.
Ci sono delle eccezioni: ad esempio Mirum™ di Natural Fiber Welding è un materiale vegetale al 100% utilizzato come alternativa alla pelle. Gli ingredienti utilizzati includono cotone e fibra di canapa, fibra di cocco, sughero, gomma naturale e simili. A differenza della maggior parte delle altre alternative alla pelle, i materiali Mirum™ finali non sono rivestiti in poliuretano o PVC. La parte in sughero e gomma è certificata FSC.
E poi c’è Akkadueo® Bio di Gommatex, di cui ci parla Alessandro Artusi nell’intervista
Akkadueo® Bio è un prodotto Bio-based coagulato in acqua realizzato con fibre provenienti da coltivazioni biologiche e fibre riciclate; buona parte della sua matrice poliuretanica proviene da fonte rinnovabile vegetale (Bio-based) dotata di certificazioni Gots e Bluesign.
Nell’episodio del podcast troverete tutte le informazioni sul processo di produzione degli spalmati, grazie anche al contributo di Alessandro Artusi, direttore di produzione di Gommatex, che mi ha accompagnato in questo percorso. Non vi resta che ascoltare l’episodio
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Buonasera Silvia, Io e mio marito abbiamo una lavanderia e nel caso dei poliuretani stiamo riscontrando un vero problema generalizzato, dal marchio costoso a quello di fast fashion, cambiano solo i tempi, ma la fine della spalmatura è scritta. I capi si degradano , sminuzzano, appiccicano….sono prodotti da buttare in poco o pochissimo tempo. I cl riscoprono dopo mesi un capospalla spalmato degradato nell’armadio e ci chiedono se possiamo fare qualcosa per il capo in questione e per quello accanto a cui si è incollato. E’ importante valutare l’origine del prodotto, l’utilizzo di risorse biocompatibili, l’impatto sulla salute, ma anche e non meno, la durabilità e la manutenzione. Se siamo virtuosi al 70% e poi i soldi spesi vengono buttati perchè queste sostanze non tengono al tempo, al caldo, all’ossidazione…… si perde il senso di moda sostenibile. Spero che gli spalmati biobased oltre che virtuosi siano anche resistenti. Ripeto vale per capi a basso costo come altissimo costo.
L’ascolto sempre con grande interesse. Grazie.
Grazie della sua testimonianza, è importante che i capi che acquistiamo possano essere mantenuti il più a lungo possibile. Credo che il suo punto di vista sia molto importante: siete un punto d’osservazione particolare e sono certa che in lavanderia vi siete accorti che ormai circolano abiti sempre più scadenti. A presto