In media, gli australiani acquistano 56 capi di abbigliamento all’anno e producono e importano oltre 1,4 miliardi di nuovi indumenti, per lo più realizzati con materiali non sostenibili e non durevoli. Sono il secondo Paese per consumo di fast fashion, un primato che il Governo con il Seamless Clothing Stewardship Scheme, appena approvato, vorrebbe perdere. Ne ho parlato con Tiziana Ferrero Regis, professoressa associata alla Queensland University of Technology, dove insegna costume e moda.
Quando si parla dell’Australia ci vengono in mente distese enormi di territori quasi disabitati, il regno della natura, ma anche delle pecore e della lana. Di tutte quelle fibre che vengono prodotte in questo Paese, pochissime restano per essere lavorate: la maggioranza viene esportata altrove per essere trasformata e trattata, per diventare capi di abbigliamento che poi tornano in Australia, facendo un giro immenso. Quando si parla di circolarità, la prima domanda che dobbiamo porci per capire quanto tempo sarà necessario per una transizione effettiva, è capire quanta manifattura ci sia in un Paese: se le filiere produttive sono andate perse, se vanno ricostruite il percorso sarà denso di ostacoli. Per questo l’Australia nella scorse settimane ha adottato il Seamless Clothing Stewardship Scheme, un documento che traccia una strada per far recuperare al Paese il tempo perso nella corsa alla circolarità.
Cosa dice il Seamless Clothing Stewardship Scheme
L’obiettivo è duplice: completare la transizione circolare nella moda entro il 2030 e rendere l’industria a impatto zero entro il 2050.
Come riuscirci? Cercando di mettere insieme le forze, perché non saranno esperienze singole o individuali a portare risultati decisivi.
Per questo è stato fondato un Consorzio, guidato dall’Australian Fashion Council, con la collaborazione di Charitable Recycling Australia, Sustainable Resource Use, l’Università del Quuensland, and WRAP Asia Pacific. Per rendere effettiva questa strategia, anche i brand e i reailer dovranno entrare a far parte di Seamless: entro la fine del 2025 dovrebbero essere coninvolti circa il 60% di quelli che vendono nel paese, il 100% entro il 2030.
Il nuovo schema prevede che entro il 2025 saranno operative le linee guida per la circolarità. E’ prevista anche una intesa campagna informativa sui consumatori, che dovranno essere messi in grado di fare le loro scelte in maniera consapevole. L’intero progetto sarà finanziato da un eco-contributo.
Il contributo è di 4centesimi di dollari australiani per unità, che verrà versato sulla base degli indumenti messi nel mercato. Potrà essere ridotto a 3 per i capi realizzati con una logica di eco-design.
La proposta riguarderà tutto l’abbigliamento importato e quello prodotto in Australia, compresa la biancheria intima. Sono esclusi gli indumenti protettivi, le calzature e gli accessori. Sarà inoltre creato uno standard accreditato dal Governo per essere certi di una applicazione omogenea dei nuovi indirizzi.
Non mancano ostacoli e barriere al raggiungimento degli obiettivi previsti, come la mancanza di conoscenza del design circolare e di esperienza nella selezione dei materiali. Anche gli alti costi di raccolta e smistamento degli indumenti usati è un grosso problema, soprattutto se messo in relazione con la mancanza di competenze e infrastrutture locali adeguate. Ma l’Australia è decisa a recuperare il tempo perso.
L’intervista con Tiziana Ferrero-Regis
Di tutto questo ho parlato nell’intevista con Tiziana Ferrero Regis professoressa associata alla Queensland University of Technology, dove insegna costume e moda. Ci siamo prese più tempo del previsto, ma il tema lo meritava. Buon ascolto!
Cover image: Joey Csunyo su Unsplash