Le certificazioni per il tessile e la moda: una vera propria giungla. Eppure in un settore caotico come quello del fashion, possono rappresentare una delle poche certezze per avere informazioni su quello che stiamo acquistando. Ma non è così semplice e non è sempre vero tutto quello che è certificato. Ne parliamo anche nell’intervista con Francesca Rulli, fondatrice di Process Factory, impegnata in numerose iniziative per la qualificazione delle catena di fornitura.
Le 19 certificazioni riconosciute da Climate Pledge Friendly
Amazon ha lanciato in questi giorni la sua etichetta verde “Climate Pledge Friendly” che accompagnerà circa 40 mila prodotti di settori diversi, dalla moda al food all’elettronica. Potranno ottenere il prezioso bollino, quei prodotti che hanno almeno una delle 19 certificazioni internazionali riconosciute da Amazon come autorevoli. In questa lista, quali sono quelle che riguardano il tessile e la moda?
Ve le illustro nel podcast, ma vi posso anticipare che ci sono diverse certificazioni di Textile Exchange e anche la certificazione Blue Sign, di cui vi ho parlato in un episodio del podcast. Anche Amazon non ha voluto sottrarsi da questo business molto interessante e ha creato una propria certificazione: si chiama “Compact by Design” e intende identificare prodotti con un design più efficiente, che quindi porta a un risparmio di emissioni di CO2. Amazon ha infatti deciso di azzerare le proprie emissioni di CO2 entro il 2030, dieci anni prima del limite fissato dall’accordo di Parigi.
C’è differenza tra certificazione e commitment
Stiamo parlando di certificazioni, quindi di un sistema in cui c’è un ente di certificazione che fa un audit e valida i dati raccolti dall’azienda e i documenti prodotti a corredo. La certificazione arriva al termine di un percorso regolamentato, di una misurazione, di una validazione. Diversi sono invece i commitment, con i quali l’azienda prende un impegno riconoscendosi in determinati valori. Ad esempio il Detox di Greenpeace è un commitment, così come New Plastics Economy Global Commitment lanciato dalla Ellen MacArthur Foundation.
I brand possono anche stabilire da soli i propri standard: il caso Join Life di Zara
Zara ha creato un proprio capitolato sulla base del quale vengono selezionati i fornitori tenendo conto delle materie prime utilizzate, del consumo di acqua lungo il ciclo di produzione, della riduzione delle emissione di Co2. Ha inoltre creato una lista di prodotti chimici pre-approvati da Inditex per garantire la sicurezza dei capi e del processo di produzione. Per costruire lo standard si sono basati sull’Higg Index (ne ho parlato qui), l’indice sviluppato dalla Sustainable Apparel Coalition per valutare l’impatto ambientale e sociale del tessile.
Secondo me l’Higg Index è destinato ad assumere un’importanza sempre maggiore nel mondo del fashion, ma a una condizione: il fornitore deve saper misurare le emissioni della propria attività.
L’intervista a Francesca Rulli, di Process Factory
Francesca Rulli è la fondatrice di Process Factory, una società specializzata nel supportare le aziende con soluzioni integrate per la sostenibilità del proprio business. Aderisce a Global Compact, è membro di Textile Exchange e contributor di ZDHC. Con l’iniziativa 4Sustainability collabora con oltre 130 aziende della catena produttiva Italiana e quindi conosce bene i problemi delle aziende. Come si sceglie un fornitore? Come ci si tutela dalle certificazioni false? Cosa sono le MRSL e le PRSL? Sono queste alcune domande che ho fatto a Francesca. Sentite cosa mi ha risposto.