Cambiare si può, se c’è la spinta giusta: potrebbe completare così il salto in avanti della produzione di viscosa proveniente da percorsi di sostenibilità, tracciati da Canopy, che ha di recente reso noto il nuovo report. La viscosa è un materiale di origine vegetale, che è sul mercato da decenni, ma che continua ad essere apprezzato per la consistenza scivolosa e delicata, che ricorda la seta. E infatti fu creato proprio con la finalità di essere un sostitutivo della seta, ma con un costo più basso.

Ma il fatto che sia di origine vegetale non la rende un prodotto sostenibile, anzi: c’è il grosso rischio che la viscosa che state indossando provenga una foresta che dovrebbe essere protetta. Canopy è un’organizzazione no profit canadese che lavora da diversi anni per cercare di rende la filiera dell’approvvigionamento della cellulosa più sostenibile. E’ appena uscito il loro ultimo monitoraggio “Hot Button Report“, un’analisi a 360 gradi sui produttori di viscosa nel mondo, verificati grazie ad audit puntuali nelle aziende. I risultati sono molto interessanti: in pochi anni il mercato della viscosa ha scelto con decisione di percorrere la strada della sostenibilità, grazie alla spinta dei brand che hanno iniziato a chiedere con forza materiali verificati. Nel 2015 solo il 35% dell’approvvigionamento avveniva da percorsi certificati, nel 2019 si è raggiunto l’89%. Il report mostra un aumento significativo del volume della fibra cellulosica sintetica prodotta dai produttori classificati “green” che oggi rappresentano il 52% delle quantità a livello globale.

L’ONG Canopy lo stima circa la metà di tutti i materiali cellulosici (3,3 milioni mt) proviene da foreste antiche, come le torbiere ricche di carbonio dell’Indonesia e foreste boreali del Canada e dell’Amazzonia. C’è ancora molto da lavorare per rendere sostenibile l’intera produzione, ma il balzo in avanti è stato davvero notevole.

Canopy cosa fa? Classifica con un sistema di “green button” le aziende produttrici di viscosa, prendendo in considerazione il loro contributo alla conservazione delle foreste, l’utilizzo di fibre alternative, le politiche di approvvigionamento, la trasparenza e la tracciabilità. Da quest’anno, grazie anche alla collaborazione con ZDHC, è stato valutato anche la gestione del rischio chimico, che non è poca cosa per la produzione di viscosa, come vi racconto sotto. E proprio su questo punto le aziende hanno ottenuto i risultati peggiori.

Il podio delle aziende più virtuose

Hot Button Report 2020

Le aziende che si sono classificate meglio nella classifica di Canopy, staccando di diversi punti le altre aziende, sono l’austriaca Lenzing e l’indiana Aditya Birla. Solo loro hanno conquistato la “green shirt”, l’icona che sintetizza il rispetto delle policy sui diversi aspetti considerati, escluso quello chimico, dove il risultato è poco soddisfacente. Su questo punto ci sono ancora molte criticità, come anche sulla necessità di incrementare i punteggi di sostenibilità anche delle altre altre aziende che fanno parte della catena di fornitura.

Cambiare si può, quando si vuole

Secondo il rapporto di Canopy, 320 marchi globali stanno cercando di rifornirsi da produttori “green”, che si sono sottoposti al loro audit e che sono dotati di idonee certificazioni. Questi marchi hanno un fatturato annuo di oltre 578 miliardi di dollari USA, quindi questa domanda rappresenta un motore di cambiamento impressionante. Tra i primi brand a muoversi in questa direzione ci sono stati Stella Mc Cartney e Eileen Fisher, poi anche Zara e Marks & Spencer hanno deciso di dotarsi di policy per approvvigionarsi solo da produttori “green”. Infine, in occasione della presentazione del report anche H&M ha annunciato di rinunciare alla viscosa non qualificata.

Oggi significa che oltre il 50% della fornitura globale di viscosa è qualificata e il 72% dei fornitori si sottopone volontariamente a controlli per confermare e affrontare qualsiasi rischio di approvvigionamento da foreste antiche e in via di estinzione. E poi finire nel rapporto di Canopy, dove sono indicati i nomi delle aziende.

Quanta viscosa viene usata nel mondo

Nella categoria dei materiali a base cellulosica, (di cui fanno parte la viscosa, l’acetato, il lyocell, il modal e il cupro) la viscosa è la più utilizzata. i materiali a base cellulosica rappresentano il 6,4% del mercato delle fibre e il 79% di questi è occupato dalla viscosa.

Ma la viscosa non si trova solo nei nostri vestiti: viene anche utilizzata nella produzione di tappezzeria, biancheria da letto, tappeti, cellophane.

Come nasce la viscosa

La viscosa è derivata dalla “cellulosa” o dalla pasta di legno di alberi rigenerativi a crescita rapida come eucalipto, faggio e pino, oppure da piante come bambù, soia e canna da zucchero. Questo materiale di cellulosa viene quindi sciolto in una soluzione chimica per produrre una sostanza viscosa polposa, che viene quindi filata in fibre che possono quindi essere trasformate in fili.

Naturale significa sostenibile?

Essendo una fibra vegetale, la viscosa non è intrinsecamente tossica o inquinante. Ma la quantità di materiale richiesto dal fast fashion, la velocità di produzione, la necessità di applicare costi sempre più bassi, ha come riflesso che gran parte della viscosa oggi sul mercato viene prodotta a basso costo utilizzando energia, acqua e processi ad alta intensità chimica che hanno impatti devastanti sui lavoratori, sulle comunità locali e sull’ambiente.

Ci sono due aree principali di preoccupazione quando si tratta della produzione di viscosa, e sono la fonte della polpa di legno e come viene trasformata in un tessuto utilizzabile.

La polpa di legno di cui è composta la viscosa viene prodotta trattandola con sostanze chimiche, che vengono filtrate e che rendono possibile filare il materiale in un filo sottile. Questo è un processo altamente inquinante e rilascia molte sostanze chimiche tossiche nell’aria e nei corsi d’acqua circostanti gli impianti di produzione. Il disolfuro di carbonio, una delle sostanze chimiche utilizzate, è un altro ingrediente tossico che è stato collegato a livelli più elevati di malattia coronarica, difetti alla nascita, malattie della pelle e cancro, non solo nei lavoratori tessili, ma anche in coloro che vivono vicino alle fabbriche di viscosa. Inoltre, la polpa di dissoluzione spreca circa il 70% dell’albero ed è un processo di produzione chimicamente intenso.

Foreste a rischio

Inoltre, la produzione di viscosa sta contribuendo al rapido esaurimento delle foreste mondiali, che vengono ripulite per far posto alle piantagioni di pasta di legno. Si stima che circa il 30% del rayon e della viscosa utilizzati nella moda sia prodotto con polpa proveniente da foreste antiche e in via di estinzione. Ciò porta non solo alla distruzione dell’habitat, creando una minaccia significativa per le specie in via di estinzione, ma spesso comporta anche violazioni dei diritti umani e accaparramento di terre da parte delle comunità indigene.

Ci sono alternative alla viscosa?

Con il progredire della tecnologia, vengono creati nuovi materiali, come EcoVero. Prodotto da Lenzing, questo tessuto innovativo è realizzato utilizzando legno sostenibile proveniente da fonti controllate certificate in Europa dal Forest Stewardship Council o dal Program for Endorsement of Forest Certification Schemes. Ci sono anche progetti interessanti che utilizzano fibre cellulosiche riciclate, come re:newcell o Birla Cellulose.

In questo settore in questo momento ci sono progetti molto interessanti e grandi investimenti in corso: il futuro della moda sta nella capacità di riuscire a utilizzare questi nuovi materiali e interpretarli in nuove collezioni. E possiamo scommettere che il cambiamento correrà veloce: lo chiede il mercato e questo basta a superare ogni ostacolo.