Cosa ne facciamo del Polycotton a fine vita?

In principio c’erano il cotone, poi è arrivato il poliestere: negli anni Sessanta negli Stati Uniti entrò in scena il polycotton. Si iniziò quindi a mescolare cotone e poliestere in percentuali diverse per avere tessuti che potevano garantire certe prestazioni a prezzi più bassi. Si trattava di un processo standardizzato: ho trovato classificazioni di questi materiali in quattro tipologie diverse, a seconda della composizione. L’obiettivo era quello di avere prodotti che fossero più facili da stirare, con colori brillanti, traspiranti, riducendo al minimo i costi. Il polycotton nasce come materiale per la biancheria per la casa, ma presto il mondo della moda se ne è appropriato e il mix tra cotone e poliestere ha di essere standardizzato; anzi, si gioca sui materiali per avere effetti (e costi) diversi). Ancora ora oggi il polycotton è il materiale più utilizzato: i tessuti misti di cotone e poliestere secondo alcune stime rappresentano circa la metà dei rifiuti tessili.

Ma cosa succede ai capi realizzati con questo blend a fine vita? E’ una storia ancora da scrivere. Il poliestere e il cotone possono essere riciclati separatamente, ma quando sono mischiati insieme diventa impossibile. Se l’obiettivo è quello di riciclare meccanicamente questi materiali misti, distruggerli e poi usarli per imbottiture, pannelli o per creare filati di bassa qualità utilizzabili per tappeti, il riciclo può essere fatto. Ma se invece prendiamo in considerazione il riciclo da tessuto a tessuto, quello che l’Unione Europea ha indicato come prioritario e l’unico in grado di rendere l’industria dell’abbigliamento davvero circolare, lo scenario è diverso.

Quanto polycotton c’è nei nostri abiti usati?

L’organizzazione internazionale Fashion for Good ha realizzato l’indagine “Sorting for Circularity Europe“. Lo studio è stato condotto in Belgio, Germania, Polonia, Spagna, Paesi Bassi e Regno Unito. Ha monitorato 21 tonnellate di capi di fine vita delle stagioni Autunno/Inverno 2021 e Primavera/Estate 2022, per comprendere anche le variazioni stagionali nei capi di cui decidiamo di disfarci. Dallo studio è emerso che il cotone è la fibra più comunemente presente rappresentando il 42% del totale, davanti ai tessuti misti (32%), tra i quali il polycotton, predominante, con il 12%

Fashion for Good

Lasciando da parte elementi problematici come bottoni e cerniere, nonché problemi di riciclaggio legati ai coloranti, lo studio ha rilevato che il 21% dello stock monitorato potrebbe essere gestito mediante riciclaggio meccanico, mentre il 53% è adatto al riciclaggio chimico. Questo è il punto chiave dello studio: solo il 2% degli indumenti a fine vita raccolti è attualmente destinato al riciclaggio da fibra a fibra e qui sta il vero problema. Se l’industria della moda non trova il modo di riutilizzare quello che ha già prodotto, l’impatto dell’uso delle materie vergini la farà sempre essere un’industria ad alto impatto.

Il rapporto di Fashion For Good stima che, nei soli paesi oggetto dello studio, potrebbero essere disponibili per il riciclaggio 264 mila tonnellate di cotone ogni anno, 67 mila tonnellate di poliestere e 78 mila tonnellate di polycotton. Quindi le opportunità non mancano, ma è la tecnologia che non è pronta.

L’innovazione Made in USA

Circ è una startup statunitense, con sede in Virginia, che si occupa di riciclaggio tessile. E’ un’azienda di cui si sta parlando moltissimo e rappresenta un vero e proprio fiore all’occhiello dell’innovazione Made in USA. L’obiettivo dell’azienda è quello di creare materiali circolari senza l’uso di materie prime vergini. Uno dei suoi obiettivi è riciclare 10 miliardi di capi entro il 2030, che rappresentano il 10% del mercato globale dell’abbigliamento. Tra i loro investitori figurano Inditex e Patagonia.

Circ.Earth

” L’industria della plastica sa come scomporre il poliestere puro [PET] da decenni. Quando una fibra sintetica come il poliestere viene intenzionalmente mescolata con una fibra naturale come il cotone, tuttavia, diventa un’enorme sfida riciclarne una senza degradare l’altra”, afferma Peter Majeranowski, CEO di Circ. Ecco che entra in campo la sua società innovativa, che ha sviluppato un nuovo sistema che utilizza pressione, acqua calda e sostanze chimiche “ecocompatibili” per separare la miscela di poliestere e cotone senza distruggere nessuna delle fibre.

Storicamente, sono tre i metodi che trasformano i rifiuti tessili in materiale riutilizzabile (non perdete questo episodio del podcast se siete interessati). In sintesi: Il riciclaggio meccanico taglia e macina i tessuti in fibre utilizzabili, è poco costoso ma degrada le fibre. Il riciclaggio termomeccanico utilizza la pressione e il calore per fondere i tessuti sintetici e trasformare i polimeri di poliestere recuperati (PET) in fibre o pellet di plastica, ma il processo non può essere utilizzato per le fibre naturali. E infine il riciclaggio chimico mescola calore, acqua, pressione e solventi per scomporre il cotone o il poliestere nei loro componenti più elementari, che possono essere utilizzati per creare fibre quasi “vergini”.

Circ ha innovato modificando il riciclaggio chimico in modo che entrambi i componenti della miscela escano dal processo in gran parte illesi. Il procedimento è qualcosa di simile a una pentola a pressione: la startup utilizza solventi, calore e acqua il cui pH è stato aumentato per liquefare rapidamente il poliestere e romperlo in monomeri, liberando i suoi componenti di base, di acido tereftalico (PTA) e glicole etilenico (EG).Dopo che il poliestere è stato rimosso, resta uno scheletro di cotone, come viene definito dal team scientifico. Praticamente si tratta di una fibra che ha subito un processo molto invasivo, come se la maglietta fosse stata lavata 100 volte, ma la fibra è ugualmente riutilizzabile. Il PTA e l’EG possono essere riuniti per produrre PET vergine per bottiglie di plastica o fibre nuove. Il cotone, pulito e asciugato al punto da assomigliare a batuffoli di cotone, viene sciolto in un solvente riutilizzabile per formare una sostanza dalla consistenza mielosa che viene pressata attraverso una sorta di setaccio per creare fibre di lyocell. Oggi Circ gestisce solo un impianto industriale pilota, che ha una capacità di riciclaggio di diverse tonnellate al giorno. Ha in programma di aprire la sua prima fabbrica, che lavorerà 65.000 tonnellate all’anno, nel 2025.

La sfida del futuro

Ci sono tante altre imprese che stanno lavorando su questo tema, perché il riciclo del polycotton è davvero la sfida del futuro. Però ad oggi si tratta di progetti che sono ancora in una fase embrionale e non sono ancora pronti ad affrontare il mercato. Sono certa che tra poco la risposta ci sarà, ma per adesso chi mette sul mercato tessuti in polycotton e non vuole rinunciare a presentarlo come un prodotto sostenibile, ricorre alle certificazioni: cotone GOTS, poliestere GRS e il gioco è fatto. E una volta che il prodotto sarà immesso sul mercato, qualcun altro ci penserà quando ha esaurito il ciclo di vita. Ma anche questo sta per cambiare e allora la sfida si fa davvero molto interessante.

Cover Photo by Bozhin Karaivanov on Unsplash

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *