Dall’agar agar una soluzione per il tessile del futuro

DI ANNA BASSO

‘Xè mejo el tacon del buso’ è il titolo del progetto di tesi che ho sviluppato durante il Master ‘Textile, Innovation and Sustainability’ svolto durante l’anno accademico 2020-2021 presso Accademia Aldo Galli di Como in collaborazione con IED Milano. Il mio progetto consiste in una collezione di biomateriali, interamente creati da me partendo dall’agar agar (un ingrediente che si usa solitamente in cucina) e scarti tessili o alimentari. La mia non è una proposta di prodotto finito da introdurre nel mercato attuale, poiché necessita ancora molta sperimentazione, ma è uno starting-point, un’idea che vuole mettere in luce la necessità di orientare il nostro sistema di produzione verso alternative più sostenibili e innovative.

Xè mejo el tacon del buso’ è un’espressione dialettale veneta molto comune nelle zone in cui sono cresciuta (Padova) che può essere tradotta letteralmente ‘è meglio la toppa del buco’, intendendo che riparare qualcosa o trovare una soluzione è sicuramente meglio che non affrontare il problema. Ho scelto questo proverbio dialettale in quanto esprime perfettamente l’obiettivo del mio progetto: trovare nuovi materiali e nuovi modi per ridurre i danni che la moda e l’industria tessile stanno causando all’ambiente, anziché rimanere a guardare l’industria distruggere le risorse planetarie. La mia tesi analizza il tema della sostenibilità nel sistema moda con un approccio progettuale, mostrando come i nuovi materiali possano essere sia sostenibili che esteticamente interessanti. 

Quando ho iniziato la ricerca per il mio progetto di tesi, mi trovavo a casa dei miei genitori e osservando i campi di pomodori di mio padre ho notato quanto l’emergenza climatica fosse evidente. Infatti tutte le piante erano state attaccate da un’invasione di cimici provenienti dall’Asia, che aveva fatto ammalare tutti i pomodori, ormai deteriorati e inutilizzabili. Essendo una coltivazione di tipo biologico, mio padre si è dovuto ingegnare per poter trovare una soluzione che non prevedesse pesticidi. Dopo svariati tentativi ha sviluppato dei pannelli che grazie a ferormoni e sostanze zuccherine attiravano e catturavano gli insetti, prima che potessero contaminare le piante di pomodori.

Guardando queste trappole fai-da-te, sono rimasta colpita dall’ingegno e dalla creatività di mio padre: quante volte gli ostacoli diventano un’opportunità per cambiare lo stato attuale in cui ci troviamo? Quanto è importante trovare una soluzione creativa per avere un impatto positivo sul mondo? 

Ecco perché ho iniziato a ricercare idee innovative nel campo tessile che coniugassero tecnologia, sostenibilità e creatività, e ho scoperto l’esistenza di materiali bio-based, derivanti da fonti vegetali e a impatto zero. Ho quindi cominciato a sperimentare nella mia cucina delle ricette di biomateriali, partendo dall’agar agar (che viene estratto dall’alga rossa) e glicerina, aggiungendo poi via via svariati ingredienti (scarti alimentari ma anche tessili) per creare textures interessanti, ispirate alle superfici dei pomodori colpiti dalle cimici e dei pannelli costruiti da mio padre. 

Il processo di sperimentazione non è stato semplice, in quanto ho impiegato diversi mesi a trovare la giusta miscela per ottenere un materiale resistente, ma allo stesso tempo è stato formativo poiché ogni errore si rivelava un’occasione per imparare qualcosa di nuovo. 

Iniziando a ricercare ricette di altri designer e studenti che avessero realizzato biomateriali, ho scoperto che l’agar agar, sostanza derivata da alghe rosse marine tradizionalmente utilizzato come addensante alimentare, reagendo con glicerina e acqua, creava una bioplastica spesso impiegata nel packaging. 

Poiché la ricetta di riferimento è quella della designer Clara Davis ed è molto semplice (infatti la miscela di agar agar, glicerina e acqua necessita solamente di strumenti da cucina, in quanto deve essere portata a bollore per poi essere stesa e fatta asciugare all’aria aperta) ho cominciato subito a creare questi fogli di bioplastica nella mia cucina. Inizialmente  i risultati non sono stati quelli che mi aspettavo, in quanto non avevo considerato la temperatura di asciugatura che doveva essere costante e l’ambiente poco umido. Mi sono resa conto infatti che la temperatura dell’aria e lo spessore della bioplastica influiscono molto sul risultato finale: una bassa temperatura e l’alto spessore rallentano il processo di asciugatura, facilitando la contaminazione delle muffe e la rottura del materiale.

Dopo svariati tentativi sono riuscita ad ottenere una bioplastica abbastanza resistente, che sono riuscita anche a cucire, creando un top estivo. Messo a punto il materiale di base ho avviato il vero e proprio processo creativo, ‘giocando’ con gli ingredienti: ho, infatti, iniziato ad aggiungere scarti alimentari (come l bucce dei pomodori essiccati, te, bucce di cipolla) per risaltare l’organicità del materiale; ho anche utilizzato farine di buccia d’arancia e pomodoro che mi hanno fornito la start-up italiana Packtin, che produce packaging da scarti alimentari. Infine ho aggiunto alla miscela appena stesa scarti tessili, che nel momento in cui la bioplastica si asciugava e di conseguenza solidificava, rimanevano intrappolati nel materiale stesso creando una sorta di effetto spalmato. Ho trovato quest’ultima tecnica particolarmente interessante, tanto che l’ho sviluppata in varie forme, con differenti tessuti (in particolare tessuti serici, leggeri o pizzi).

I materiali finali di ‘Xé mejo el tacon del buso’ sono costituiti dal biomateriale che ha una resa finale simile al pellame molto morbido, in cui ho intrappolato scarti tessili e alimentari per sottolinearne l’organicità.

Chiaramente sono consapevole la collezione che ho creato è ancora un work-in-progress, in quanto i materiali avrebbero bisogno di un supporto industriale e maggiore sperimentazione per diventare propriamente indossabili e utilizzabili, ma credo fermamente che i biomateriali in generale faranno parte della nostra vita quotidiana futura, perché sono una delle poche soluzioni totalmente sostenibili e circolari che abbiamo.

In conclusione ‘Xé mejo el tacon del buso’ non è una proposta di prodotto finito pronto per essere introdotto nel mercato, piuttosto vuol essere l’inizio di un’innovazione per ridurre l’impatto che il sistema moda ha sul mondo, vuole mostrare che esistono strade alternative per attuare un grosso cambiamento in questa direzione, e che basterebbe ampliare maggiormente i nostri orizzonti e investire nella collaborazione tra tecnologia e design.

Titolo tesi: Anna Basso “Xè mejo el tacon del buso- It’s better the patch than the hole” Accademia Galli, Como – Master ‘Textile, Innovation and Sustainability’

BIOGRAFIA


Anna Basso ha 24 anni. nel 2019 si è laureata in design della moda allo IUAV di Venezia e nel 2021 ha conseguito il titolo di Master in ‘Textile, Innovation and Sustainability’ presso IED in collaborazione con l’Accademia Aldo Galli di Como.
ha svolto uno stage a Berlino presso il Belizeofficiel, uno studio di womewnswear design dove faceva da assistente alla stilista nello sviluppo delle collezioni SS19 e AW20, disegnando anche costumi da bagno e accessori. 
Dopo la laurea ha lavorato presso RIART, un ricamificio in Veneto (Italia), apprendendo nuove competenze riguardo filati, punti ricamo e sulla manipolazione dei materiali attraverso l’arte del ricamo. Era incaricata di creare il design di ricami per marchi noti, scegliendo colori e punti per creare la grafica richiesta.
Alla fine del Master ha fatto lo stage nello studio di ricerca sulle tendenze CHIRON, come assistente nella ideazione e creazione di trend-books, traducendo concetti in proposte di materiali e immagini.

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