Una moda decolonizzata, un nuovo modo di rappresentazione: la Black Vanguard

DI AURORA MARCONI

La moda è sempre stata sintomo e voce di cambiamenti sociali. Negli ultimi anni abbiamo visto una maggiore rappresentazione di corpi durante la fashion week – anche se la percentuale di corpi diversi rispetto allo standard è ancora molto bassa-. Nei magazines abbiamo avuto modo di vedere il lavoro di fotografi e stylists che, fino a poco tempo fa, potevano lavorare solo in ruoli secondari. Ma non è abbastanza, purtroppo il mondo della moda è ancora razzista, eurocentrico e soprattutto bianco. 

Il termine eurocentrismo significa catalizzare l’attenzione solo sulla cultura occidentale, tralasciando o dando poca attenzione ad altre aree geografiche come Asia, Africa e America Latina. Possiamo considerare l’eurocentrismo come un sottoinsieme dell’idea di etnocentrismo, cioè vedere e studiare le altre culture attraverso la lente di un’unica cultura. Nel caso della moda, significa che solamente alla cultura occidentale appartiene la storia della moda. 

Decolonizzare la moda

Il passo da compiere è dunque la decolonizzazione della moda, termine definito dall’antropologa Angela Jansen come “l’obliterazione dell’episteme culturale eurocentrica”, quindi la fine della moda europea come norma e tutto “il resto” considerato in relazione a essa.

La moda mainstream, infatti, è inserita in un sistema coloniale ed è la stessa che ha promosso una moda non sostenibile, non etica, di sfruttamento.

Il ruolo della New Black Vanguard

Tra le pratiche di re-appropriazione e decolonizzazione della moda, troviamo il lavoro fatto dalla New Black Vanguard, un insieme di fotografi, stylists e filmmakers che producono immagini che vanno oltre le tradizionali opere di rappresentazione. Il collettivo è formato da Awol Erizku, Tyler Mitchell, Campbell Addy, Arielle Bobb- Willis, Micaiah Carter, Nadine Ijewere, Quil Lemons, Namsa Leuba, Renell Medrano, Jamal Nxedlana, Daniel Obasi, Ruth Ossai, Adrienne Raquel, Dana Scruggs e Stephen Tayo.

La loro fotografia propone un nuovo set di riferimenti ed estetica, introducendo così un nuovo modo di immaginare la moda. La New Black Vanguard ripensa l’immagine di moda, la rende più simile alla vita reale. Questi artisti complicano e contraddicono le nozioni tradizionali di bellezza, presentando delle identità fluide e intersezionali. Il loro è un modo di sfidare il sistema moda tradizionale e creare così nuovi scenari, archivi ma soprattutto una nuova rappresentazione della loro comunità; è una nuova modalità di rappresentare e rispettare la diversità di chi non è presente nella moda mainstream. 

Credit: Saatchi Gallery

Le immagini sono importanti, soprattutto quelle che la moda ci propone. Esse abitano lo scenario quotidiano e plasmano i nostri gusti e le nostre identità. Non mostrano solo abiti, ma possono anche offrire una riflessione critica e culturale, riflettono cambiamenti sociali, politici, sessuali, economici. I media e le riviste di moda sono il mezzo per diffondere rappresentazioni e narrazioni di genere, classe, corpi, identità e sessualità; quindi, strumenti che possono aiutare a decolonizzare la moda e trasformare il sistema. Le immagini di moda sono fonte di ispirazione, ma sono controllate principalmente dalla cultura occidentale, per questo motivo le persone non si sentono rappresentate.

La New Black Vanguard fornisce un nuovo sguardo nella fotografia e promuove l’inclusività. Per avere più possibilità di far conoscere il loro lavoro, hanno fondato le proprie agenzie e condividono le loro foto sui social media – come Instagram, Tumblr, Pinterest- senza aspettare che qualcuno del settore li scopra e li promuova.

Il ruolo delle immagini

Questi artisti si sono ispirati alle pietre miliari e ai titani della fotografia di moda come Richard Avedon, Irving Penn o Mario Sorrenti, ma si sono rivolti a questi precursori per esplorare il proprio background e ritrarre le loro comunità in Africa e in Occidente. Le loro opere traggono ispirazione non solo dalla comunità afroamericana, ma anche dalla diaspora africana. I temi e le fotografie che molto spesso sono state utilizzati in Occidente per scopi puramente commerciali- dai movimenti degli anni Sessanta e Settanta Black Power e Black Is Beautiful all’hip-hop e street style- sono stati ripresi e riproposti sotto un’altra lente. Queste fotografie sfidano una storia della moda che si è basata su blackface, appropriazione culturale e razzismo; tutti elementi che possiamo trovare in riviste di moda, pubblicità e sfilate. 

La New Black Vanguard riprende stili, pose, idee tradizionali della moda mainstream e li re-immagina. Molti di questi artisti hanno iniziato a fotografare le loro famiglie e la loro comunità. Mostrando la loro vita quotidiana, questi lavori raffigurano un mondo più ampio, più inclusivo dal punto di vista di corpi e genere, allargando i concetti di bellezza e di rappresentazione. Il lavoro di questi fotografi mostra come i confini della moda possono essere ridisegnati e quindi il pubblico e le rappresentazioni ampliate.

La fotografia di moda, nella cultura occidentale, è considerata qualcosa di limitato alla moda. La New Black Vanguard cerca di superare questa definizione rigorosa; non vuole che le loro storie appartengano solo al loro lavoro o siano relegate a uno special issue, ma che tutti possano sentirsi rappresentanti nel sistema. Il loro lavoro, come lo definisce lo scrittore Antwaun Sargent nel libro “The New Black Vanguard”, è un “atto ristoratore”. 

Titolo tesi: Aurora Marconi, “ HISTORICAL AND THEORETICAL SURVEY ABOUT DECOLONIZED FASHION. A FOCUS ON THE WORK OF THE NIGERIAN STYLIST, FILMMAKER AND PHOTOGRAPHER DANIEL OBASI“, Fashion Studies, Università La Sapienza

Credit Immagini: https://www.saatchigallery.com/

BIOGRAFIA

Sono Aurora Marconi, ho quasi 25 anni e vivo a Roma. A 8 anni ho aperto il mio primo Vogue e mi sono appassionata di moda, poi ho visto “Il Diavolo Veste Prada” e ho capito che la moda e il cinema dovevano essere la mia strada. Dopo essermi laureata in cinema, con una tesi in critica cinematografica su Greta Gerwig e i cambiamenti portati dall’avvento del #MeToo, ho proseguito con una magistrale in Fashion Studies. Da piccola quando non sapevo ancora leggere, prendevo un libro e inventavo storie per la mia bisnonna cieca facendo finta di comprendere tutte quelle lettere messe insieme. Da quel momento ho letto libri e visto film di ogni genere, storie inventate e non, per conoscere il mondo intorno a me. Oggi mi piace scrivere, soprattutto di ciò che è molto lontano da me, per raccontare alle persone altri punti di vista e culture e che i bellissimi mondi della moda e del cinema necessitano di profondi cambiamenti e di altre prospettive.

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