Riciclare gli abiti usati è diventato un obiettivo irrinunciabile, per l’Europa ma non solo. Ma i tessuti riciclati sono conformi alla legislazione europea sulle sostanze chimiche, quella REACH? Se l’è chiesto il Ministero della salute olandese, che ha appena pubblicato uno studio dal titolo “Textile recycling in the Netherlands – Considerations for ensuring chemical product safety”. A Prato questo tema è oggetto di discussione da tanto tempo: la patria del riciclo tessile, negli ultimi anni ha dovuto fare i conti con delle limiti difficili da rispettare, soprattutto per la lana. Quando si utilizza il riciclo meccanico, la “storia” dell’abito usato resta custodita all’interno della fibra. Questo significa che se l’abito è stato realizzato molti anni fa, quando i limiti nell’uso di certi chimici erano diversi, quelle sostanze saranno presenti anche nella fibra riciclati, così come se si riciclano abiti che provengono da Paesi che applicano normative diverse. Non solo: i tessili vengono anche usati in contesti particolari, che richiedono l’utilizzo di speciali trattamenti, per garantire determinate performance: abiti da lavoro, tessuti medicali, tessili per la casa. Il riciclo meccanico non riesce ad eliminare queste sostanze, che in qualche modo vanno gestite. Insomma, la gestione dei materiali riciclati non è per niente semplice.

Lo studio del Governo olandese

Il Governo olandese, che si propone di convertire la propria economia a completamente circolare entro il 2050, ha voluto affrontare il tema in maniera approfondita, incontrando qualche difficoltà, ma anche regalando qualche sorpresa. Ha analizzato 13 studi che sono stati svolti fino ad ora in Europa sui tessili riciclati, di cui solo due relativi al post consumo, e ha cercato di capire quali sono le criticità. La premessa è che si tratta di un tema che va studiato meglio e che è cruciale per immaginare il futuro del riciclo, ma intanto qualche considerazione è emersa.

Nei Paesi Bassi la durata media dei vestiti è stata stimata in 4,1 anni: è stato osservato che gli abiti che hanno una vita più lunga sono, salvo eccezioni, anche quelli più usurati, che hanno maggiori probabilità di essere destinati al riciclo. Nella situazione attuale, la maggior parte dei tessuti raccolti dai Paesi Bassi viene esportata in altri Paesi come second hand. Gli articoli tessili non riutilizzabili, ad esempio gli indumenti strappati, vengono principalmente riciclati, ad esempio in panni per la pulizia per l’industria o materiali isolanti. I tessuti raccolti possono anche essere utilizzati per realizzare nuovi vestiti. Questo viene attualmente fatto su piccola scala, ad esempio per i jeans.

Le restrizioni chimiche attuali

Dal 2020 sono diventate operative nuove restrizioni stabilite dalla normativa REACH che riguardano sostanze come gli ftalati e i NPEO, i nonilfenoli etossilati, che fanno parte della famiglia degli APEO. E’ inoltre in preparazione un nuovo regolamento sui sensibilizzanti cutanei nei tessuti e i PFAS utilizzati come agenti idrorepellenti in abbigliamento, soprattutto nell’abbigliamento outdoor.

Gli NPEO (nonilfenolo etossilato), sono l’unica sostanza per la quale è previsto un limite particolare che riguarda solo i tessuti riciclati (se volete approfondire potere leggere questo articolo che avevo scritto). Dice la normativa REACH

  1. Non possono essere immessi sul mercato dopo il 3 febbraio 2021 in articoli tessili che possono ragionevolmente essere lavati in acqua nel corso del loro normale ciclo di vita, in concentrazioni pari o superiori allo 0,01 % in peso di tale articolo tessile o di ogni parte del­ l’articolo tessile.
  2. Il punto 1 non si applica all’immissione sul mercato di articoli tessili di seconda mano o di nuovi articoli tessili fabbricati senza l’uso di NPE ed esclusivamente con materie tessili riciclate.

Il più grande studio sui materiali riciclati nel post consumo è stato finanziato da una coalizione di diversi marchi, compresi IKEA e H&M. Sono stati raccolti abiti usati in cotone, lana e poliestere da diverse regioni del mondo. E’ stato rilevato un minor numero di sostanze sono nel cotone rispetto al poliestere e alla lana; i campioni di poliestere presentavano la più ampia varietà di sostanze chimiche al loro interno. L’altro importante studio sui tessuti riciclati è stato condotto dall’istituto svedese RISE, che ha preso in considerazione anche la funzione dei materiali. È stata testata un’ampia gamma di prodotti tessili post-consumo, tra cui anche il vento giacche, t-shirt, denim, pantaloni da lavoro e costumi da bagno. Alcuni campioni contenevano sostanze in una concentrazione che superava i limiti stabiliti da OEKO-TEX, ma in ogni caso all’interno dei limiti di legge. Sebbene alcune sostanze chimiche siano limitate per determinate applicazioni tessili, possono essere consentite in altri campi, per garantire particolari funzionalità: ad esempio negli abiti da lavoro, devono essere garantite alcune performance, anche con l’uso dei chimici.

Nello studio IKEA & H&M, quasi tutti i campioni di lana ne contenevano almeno uno sostanza in concentrazione superiore ai limiti AFIRM RSL: il problema sono gli NPEO, rilevati in ogni campione, che hanno superato il limite AFIRM RSL in quasi tutti i casi.

Nello studio IKEA & H&M, il poliestere aveva la più ampia varietà di sostanze chimiche sostanze rilevate. Nel 50% dei campioni, una o più sostanze erano presenti in concentrazioni superiori rispetto al limite RSL definito dallo standard AFIRM. Tuttavia lo standard AFIRM applica in alcuni casi limiti più severi rispetto alla legislazione chimica esistente.

Una selezione degli abiti usati per funzionalità?

Lo studio consiglia di evitare di utilizzare i tessuti prodotti per non avere contatto diretto con la pelle (come le tende) in applicazioni tessili in cui si prevede un contatto diretto con la pelle. Ad oggi la selezione degli abiti usati non arriva a questo tipo di caratterizzazione, ma il Ministero olandese suggerisce di regolamentare l’attività di raccolta e di smistamento tenendo conto di questi aspetti. Una indicazione che potrebbe stravolgere il sistema disegnato dalla Commissione Europea, se seguita: ad oggi di fatto quando si parla di tessili si intendo abbigliamento, calzature, accessori, tessili per la casa.

Ma il tessile riciclato ha un problema con i limiti imposti dal REACH?

Sulla base dei dati disponibili, l’analisi del Ministero olandese conclude che si possono trovare NPEO al di sopra delle attuali soglie legali anche nel cotone post-consumo. Gli alchilfenoli etossilati (APEO) sono il gruppo di sostanze che è stato più frequentemente rilevato. Dice il Ministero Olandese: “Secondo i regolamenti REACH, esiste la restrizione per NPEO nei tessuti (nonilfenoli etossilati) che è un sottogruppo di APEO, e la soglia non si applica al materiale riciclato tessili. La restrizione affronta i rischi ambientali associati all’uso di NPEO, e limitandone l’uso, le emissioni in acqua possono essere ridotte”. Lo studio conclude che la lana potrebbe avere difficoltà a conformarsi alla normativa vigente valori di soglia e questo è ormai un dato di fatto. “E’ importante notare che nel caso in cui vi sia un limite di concentrazione superato, non significa necessariamente che ci sia una salute grave rischio. – aggiunge lo studio – Per determinare i rischi effettivi per la salute, a deve essere eseguita una valutazione (del rischio) specifica”

Viene anche fornita una soluzione, nel caso di superamenti di soglia: “nel caso in cui la fibra riciclata contenga contaminanti, il contenuto sarà ridotto durante la miscelazione (sotto il presunzione che il materiale vergine sia chimicamente conforme)”.

Un altro punto importante riguarda la conformità alle RSL, la lista di sostanze chimiche che sono ammesse o limitate nei capi di abbigliamento ai quali i produttori tessili si devono conformare: dice lo studio: “A causa del fatto che i rifiuti tessili sono molto eterogenei e che il numero di sostanze regolamentate è elevato, è praticamente impossibile testare ogni lotto secondo i completi come SVHC, ZZS o RSL”.

In conclusione “attualmente esiste un’alta probabilità che gli indumenti realizzati con tessuti riciclati (di consumo) soddisfino i limiti legali per le sostanze chimiche. Questa conclusione si basa sui dati disponibili sulle sostanze nei tessuti nuovi e raccolti”. Ma è solo l’inizio di un percorso: questo tema andrà approfondito con accuratezza, per dare slancio a un’economia veramente circolare.