Superare il greenwashing per un cambiamento positivo

DI MARTA SILVETTI


Negli ultimi decenni l’industria della moda si è trovata al centro di un rilevante dibattito sulla sostenibilità. Questo settore, che impatta significativamente sull’ambiente, producendo tra l’8 e il 10% delle emissioni di CO2  globali, che lo rendono la seconda industria più inquinante al mondo, è stato chiamato a una trasformazione radicale per rispondere alle crescenti esigenze del pianeta e dei consumatori, che richiedono pratiche più responsabili.

L’avvento del fast fashion ha accentuato ulteriormente i problemi ambientali, con un consumo eccessivo di risorse e una produzione di rifiuti che hanno sollevato preoccupazioni a livello globale. Basti pensare che la produzione di una sola t-shirt di cotone consuma 2600 litri di acqua e nel solo mercato di Kantamanto ad Accra, Ghana, arrivano ogni settimana 15 milioni di vestiti usati dai paesi OECD. La crescente consapevolezza dei consumatori ha tuttavia portato a una domanda sempre più forte di prodotti ecosostenibili e eticamente realizzati, spingendo l’industria ad adattarsi; questo è dimostrato anche dal report “The State of Fashion 2023” di Mckinsey che afferma che il mercato del noleggio di abbigliamento è in forte crescita ed arriverà ad avere un valore di $2.1 miliardi entro il 2025.

La sfida maggiore per le aziende di moda è bilanciare l’efficienza e la redditività con la necessità di ridurre i costi emergenti nei confronti dell’ambiente. Come risposte a questa sfida nascono soluzioni innovative che riducono il consumo di risorse e promuovono un approccio più sostenibile come le piattaforme di noleggio, che per alcune categorie come i maxi dress o i trench coats riducono notevolmente le emissioni di gas serra attrbuite ad ogni utilizzo; i progetti di identità digitale, tra cui cito ad esempio brillante la Digital ID di Chloé finalizzata a rendere i potenziali consumatori informati al 100% prima di procedere ad un acquisto e a facilitarli nel caso in cui decidano di ripararlo e/o venderlo, e infine i modelli di business circolari.

La tracciabilità nell’industria dell’abbigliamento consente ai consumatori di seguire il percorso completo di un capo di abbigliamento, dalle materie prime fino al prodotto finito. Questo metodo di trasparenza, attraverso etichette o marcature chimico-fisiche, permette di controllare ogni fase della lavorazione, promuovendo un consumo più consapevole. Purtroppo però, solo una frazione limitata di consumatori, sebbene in aumento, mostra una vero interesse verso la sostenibilità ecologica e sociale dei prodotti che acquistano. La maggior parte ancora stenta a riconoscerne il valore aggiunto, sottolineando la necessità per le aziende di svolgere un ruolo più proattivo nell’istruire e nel guidare il consumatore medio attraverso una comunicazione mirata.

Tuttavia un ostacolo significativo rimane il fenomeno del greenwashing, definito come “co-creazione di un’accusa esterna nei confronti di un’organizzazione in merito alla presentazione di un messaggio verde fuorviante”. Il greenwashing è una strategia di comunicazione usata dalle aziende per sfruttare l’interesse e l’attenzione dei consumatori ai problemi ecologici per trarne profitto, dato che è provato che i consumatori sono disposti a pagare un “premium” nel prezzo se il prodotto è green. Questa pratica non solo danneggia la fiducia dei consumatori, ma ostacola anche il progresso nella direzione di una vera sostenibilità.

In questo scenario, le normative svolgono un ruolo cruciale. A Gennaio 2024, il Parlamento Europeo ha introdotto una legge contro il greenwashing e le informazioni fuorvianti. Questa normativa proibisce affermazioni ambientali vaghe e consente l’uso di marchi di sostenibilità solo se basati su standard di certificazione riconosciuti o istituiti da enti pubblici. Questo provvedimento rappresenta un passo significativo verso la sostenibilità, limitando l’uso di termini come “verde”, “eco” e “naturale” senza supporto fattuale. Le imprese genuinamente sostenibili, pur avendo prezzi superiori rispetto ai loro rivali fast fashion, saranno più competitive nel mercato. Grazie alla legislazione che valorizza le pratiche autenticamente green, queste aziende potranno distinguersi: i loro prodotti, sebbene venduti a un prezzo maggiore, saranno gli unici autorizzati a utilizzare marchi di sostenibilità, offrendo un chiaro vantaggio competitivo basato sulla credibilità e l’impegno ambientale.

 

Tratto dalla tesi “Sustainability in the Fashion Industry: the Phenomenon of Greenwashing” – Laurea in Business and Economics – Alma Mater Studiorum Università di Bologna

Cover Foto di Stay Grounded su Wikimedia Commons

BIOGRAFIA

Marta Silvetti, originaria di Prato nel 2001, è impegnata nel master in Digital Fashion Communication tra l’Università della Svizzera Italiana a Lugano e la Sorbona di Parigi, dove coltiva la sua passione per la moda sostenibile. Fondatrice e creatrice di contenuti per “TheSustainableSpill” su TikTok, Marta si è avvicinata al mondo della moda sostenibile durante la sua laurea in Business and Economics a Bologna, influenzata da un corso sulla crisi climatica. Con l’ambizione di rivoluzionare l’industria della moda per ridurne gli impatti ecologici e sociali, la sua esperienza include anche un tirocinio in un prestigioso negozio multimarca di lusso.

BIOGRAFIA