Siamo realmente consapevoli di cosa sia la Moda Sostenibile?
DI BEATRICE DAINELLI
Come reagirebbe la nostra società se smettessimo di “fare shopping”? Così, J.B. MacKinnon – autore del libro When the world stops shopping – analizza le conseguenze economiche e sociali di un questo cambiamento. Consapevoli del crollo disastroso che questa scelta avrebbe sull’economia (circa il 25% andrebbe perso), MacKinnon spiega che un deficit di questa portata è stato quasi sperimentato durante la pandemia (il 20% in meno in due mesi) e quindi questa cifra non sarebbe così sconvolgente. Proprio perché il tempo scorre e la produzione aumenta, l’uomo dovrebbe virare verso un modello che sostenga l’ambiente, ovvero verso il sistema cradle to cradle. Tale sistema si metterebbe in atto al posto dell’attuale cradle to grave, per cui ogni prodotto è destinato a “morire”, invece che, come nel giusto modo di essere, dovrebbe essere riciclato e riutilizzato. A questo modo di pensare, bisogna considerare anche un aspetto sociale importante, ovvero l’adattamento: l’uomo, di fronte alle crisi, di qualsiasi origine, economica, produttiva o sociale, tende a conformarsi alla situazione. Per farlo, però, c’è bisogno di una forte educazione alla risoluzione dei problemi, che in questo caso, si riferiscono alle conseguenze che l’industria tessile può avere. Creare consapevolezza nei consumatori fin da piccoli li aiuterà a scegliere in modo intelligente e saggio, spostando la domanda del mercato.
Cosa significa sostenibilità nella moda?
Quante volte abbiamo sentito l’espressione “moda sostenibile” nelle notizie quotidiane? Questo tema è diventato sempre più popolare negli ultimi dieci anni, quando, dopo numerosi scandali di alcuni tra i più grandi marchi, come Nike, Adidas, i consumatori e i lavoratori dell’industria hanno iniziato ad interrogarsi sulle dinamiche interne del settore Moda. Ma, quando sentiamo questa espressione, che cosa effettivamente ci viene in mente? Nella mia ricerca ho provato a capire la percezione che compagnie, giornalisti e consumatori possiedono riguardo a questo fenomeno e i risultati scoperti hanno dato una risposta interessante.
Un modello di business insostenibile
Secondo le ultime ricerche, all’anno vengono prodotti circa 150 miliardi di vestiti, di cui circa l’85% viene eliminato, ogni europeo compra circa 26 kg di abiti all’anno, di cui ne utilizza meno della metà. L’industria della Moda, una delle più impattanti da un punto di vista di lavoratori e di produzione, è anche la seconda per inquinamento, subito dopo quella del petrolio. Una fabbrica di sfarzi e luccichii chi provoca morti, come quella del 2013 in Bangladesh, e quantità inimmaginabili e nocive di vestiti che il nostro pianeta non riesce e non riuscirà mai a smaltire. I problemi infatti principali sono, oltre che le quantità di oggetti prodotti, la tipologia di materiali utilizzati che, essendo per lo più artificiali, non rientrano nel ciclo naturale della Terra.
Il temine sostenibilità ha avuto un grosso impatto negli ultimi dieci anni. Definito per la prima volta nel 1987 dalle Nazioni Unite come il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità di soddisfare quelli delle generazioni future, ilconcetto è parte integrante e necessario nella comunicazione odierna. Alcuni analisti riferirono l’idea base di “sostenibile” ai romani e ai greci in quanto l’intenzione primaria di una costruzione o creazione era che vivesse in eterno. Ma il primo sociologo che ne parlò fu Hans Carl von Carlowitz, il quale sosteneva l’idea della rigenerazione: per ogni albero sradicato, bisognava ripiantarne un altro, affinché non ci fosse una mancanza né per l’uomo né per l’ambiente. Per questo motivo, sostenibile è tutto ciò che non danneggia e che non elimina.
Il ruolo della comunicazione
Il cambiamento è possibile se si inizia ora e se si inizia a comunicare con i giusti termini e considerazioni. Tenendo conto che il mercato è determinato dalla domanda del consumatore, come fare per avere una comunità capace di chiedere di meno? Fortunatamente, in questi ultimi due anni dopo la Pandemia, sempre più marchi, aziende e organizzazioni stanno svolgendo una forte attività comunicativa e educativa con l’intento di aumentare la consapevolezza dei risvolti negativi e della reale struttura di tale industria. Tuttavia, la conoscenza della vera natura della moda sostenibile, seppur aumentata, è ancora bassa, infatti, dal sondaggio sottoposto a consumatori tra i 15 e i 65 anni, maschi e femmine, di diversa categoria sociale e di diversa tipologia di lavoro, è risultato che circa il 60% degli Italiani non sappia definire che cos’è la sostenibilità. Ci sono poi, molte parole, come ad esempio greenwashing che, nonostante venga comunemente usato nel linguaggio, non trova spiegazioni precise, proprio perché ancora oggi la Moda non si mostra in modo totalmente trasparente. Alle domande poste nel mio test, molti sono stati gli aspetti toccati, da quanto consumi la moda, a quali nuovi materiali possano essere riciclati, a quali brand cerchino di impattare in modo positivo essendo da esempio per le giovani generazioni. Da qui, il 60% tra stranieri e Italiani ha concordato sulla necessità di volere più nozioni su tale fenomeno in quanto le notizie acquisite continuano ad essere generali e superficiali.
Nuovi brand
Tuttavia, alcuni marchi si stanno mobilitando verso un nuovo modo di fare Moda. La produzione continua ad essere alta, ma sempre più designers stanno cercando di innovare il sistema: il riciclo di abiti già presenti negli armadi come propone Lessico Familiare, l’utilizzo di materiali come il marmo Fili.pari, oppure produrre senza spreco come Zerobarracento. Un’altra alternativa riscoperta in questo periodo sono stati i cenciaioli, ovvero coloro che nella regione della toscana da secoli utilizzano abiti usati ricreando tessuto vergine. Una tecnica che lo stesso brand rifò utilizza e che è alla base dell’economia circolare. Su questo infatti, bisognerebbe puntare e far sì che i brand richiedano la riproduzione di tessuti già usati. Il percorso sarà comunque, ancora lungo perché la linea di pensiero maggioritaria si basa sul consumismo. Viviamo in una società del tutto materialista: in due secoli i nostri consumi sono cresciuti di circa il 400%. Soprattutto se consideriamo che la nostra società si fonda su prodotti che durano poco nel tempo – in generale si parla di circa due anni di funzionalità – che spinge il consumatore a sostituire il prodotto con un altro. In alcuni stati, come in Francia nel 2015 e in Svezia nel 2018, “l’obsolescenza pianificata” è diventata illegale, in quanto definita come “pratica, nata deliberatamente, per ridurre la durata di vita di un prodotto per aumentarne il tasso di sostituzione.”(MacKinnon J.B. (2021). The Day the World Stops Shopping: How Ending Consumerism Saves the Environment and Ourselves, Ecco Press, pp.117)
Il dilemma del consumatore
Noi, come consumatori, viviamo un momento di dilemma: siamo figli di una società che ci spinge a guadagnare, comprare e consumare, chiedendo sempre più prodotti, ma stiamo toccando con mano i problemi ambientali. Siamo bombardati da articoli di ultima generazione, proposti da bravi comunicatori che creano tendenze e possibilità. Le opzioni a nostra disposizione sono enormi e alla fine, invece che scegliere, compriamo tutto. Questo è dimostrato anche dalle app, che, online, spingono ad avere a portata di click qualsiasi prodotto a qualsiasi momento. Dopo la pandemia, però, il desiderio di spendere, dovuto anche ad una crisi economica e sociale non indifferente, ha fatto sì che molti si accorgessero di quanto servisse un cambio radicale. Quindi ora, i consumatori sono in bilico tra le regole di una società consumistica e una volontà di evoluzione nel sistema. E’ il momento di fare le proprie scelte consapevolmente.
Titolo tesi: Beatrice Danelli, “Perceiving Sustainable Fashion”, Laurea Magistrale in Fashion Studies presso l’Università La Sapienza di Roma e Laurea triennale in Scienze Umanistiche per la Comunicazione presso l’Università degli studi di Milano con una tesi sul Giornalismo di Moda.
BIOGRAFIA
Mi chiamo Beatrice Dainelli, ho 24 anni e vivo a Crema. Quando da piccolina mi chiedevano cosa volessi fare da grande dicevo: Voglio fare la principessa con i vestiti che mia mamma cuce. Da grande, posso dire con certezza che voglio studiare, analizzare e vedere i vestiti che le sarte/sarti di tutto il mondo creano, voglio capire le sensazioni, il duro lavoro di tutti coloro che si occupano di Moda dietro le quinte di quello che comunemente vediamo. Sono sempre stata, quindi, una grande appassionata di moda e di tematiche sociali legate a questo mondo. Dopo essermi laureata con una tesi sul Giornalismo di Moda, ho proseguito con la Laurea magistrale in Fashion Studies a Roma. Qui ho svolto una ricerca durata 6 mesi sulla percezione della Moda sostenibile tra i consumatori, marchi di moda, giornalisti e aziende tessili per capire come mai, nonostante il tema fosse nella nostra società da ormai tanti anni, perché molti non lo conoscevano ancora e/o perché solo ora l’interesse fosse aumentato.
BIOGRAFIA