Quale immagine racconta meglio la primavera in Italia delle colline tinte di giallo dalle piante di ginestra? Una pianta che non solo è bellissima, ma che è anche molto utile e che potrebbe rappresentare una delle fibre tessili del futuro. Già in passato ha svolto un ruolo centrale e adesso questa fibra è pronta ad essere riscoperta e a tornare sul mercato.

Nel campo delle fibre naturali c’é un grande fermento e il mondo della moda è alla ricerca di materiali sempre nuovi, ma soprattutto sostenibili. L’Università della Calabria da anni sta lavorando a un progetto sperimentale che adesso è giunto in una fase strategica: l’obiettivo è quello di portare questa fibra all’attenzione del mondo della moda, lavorando sull’utilizzo della ginestra per realizzare filati sempre più fini e adatte alle esigenze del fashion. Con un grande vantaggio ambientale.

La ginestra è infatti una pianta spontanea che cresce nell’area mediterranea e che non ha necessità di trattamenti chimici di nessun tipo. Anzi, per i coltivatori la ginestra è quasi un problema da gestire: deve essere raccolta e smaltita e ad oggi non ha praticamente nessun utilizzo. Inoltre cresce rapidamente ed è ampiamente disponibile sul nostro territorio.

La fibra di ginestra: una storia affascinante

Fino a qualche decennio fa la ginestra veniva utilizzata in diversi ambiti: la fibra che viene estratta dall’arbusto è molto simile a quella del lino e della canapa. Già a Pompei veniva utilizzata per la realizzazione di abiti, che sono stati trovati negli scavi. Nel periodo autarchico, durante la seconda guerra mondiale, c’era carenza di materie prime e la produzione di fibra di ginestra ebbe un grande impulso. Nel 1942 operavano in Italia oltre 60 ginestrifici che estraevano la fibra dai rami della pianta; quindici di questi grandi impianti si trovavano in Calabria. Alcuni di questi stabilimenti occupavano in alcune regioni anche oltre 700 addetti.

Dopo la fine della guerra, l’uso della ginestra è velocemente decaduto, seguendo un percorso simile a quello della canapa. Nel periodo post fascista certe scelte autarchiche sono state accantonate, ma nei corredi di tante famiglie soprattutto calabresi si trovano ancora lenzuola o biancheria di ginestra. Infatti proprio nel settore dell’arredo questa fibra ha dato fino ad oggi i risultati migliori: resistenza e assorbimento sono due delle sue principali caratteristiche.

Poi all’inizio degli anni Duemila la Comunità montana del Medio Tirreno (oggi soppressa), in provincia di Cosenza, ha attivato il primo progetto, grazie all’impegno di Vincenzo Gallo, che negli anni ha seguito lo sviluppo dell’iniziativa, anche quando è passato alla gestione dell’Università della Calabria. L’obiettivo era quello di iniziare un percorso di recupero della produzione di questa fibra, che innanzitutto richiede di essere estratta dalla pianta e quindi che richiede la creazione di impianti ad hoc. La disponibilità della fibra non manca: solo nel Parco dell’Aspromonte sono stati censiti oltre 5.000 ettari di ginestreti spontanei.

Della ginestra non si butta via niente

“Negli anni si è persa la conoscenza di come deve essere lavorata questa fibra, – racconta Vincenzo Gallo – ma siamo riusciti a creare un piccolo impianto che oggi produce 1kg di fibra al giorno. Della ginestra può essere usata non solo la pianta, ma anche la corteccia del legno, che stiamo sperimentando per la costruzione di alcuni pannelli. Inoltre gli allevatori la conferiscono volentieri, perché eliminano uno scarto”.

Una pianta di ginestra

Il progetto di ricerca e sviluppo SMAFINEC (Smart Manufacturing per Fibre Naturali ed Ecosostenibili) è finalizzato allo  sviluppo della filiera della ginestra in Calabria, in particolare alla realizzazione di prototipi di materiali per i settori dell’arredo e della moda.

Sono stati realizzati anche alcuni prototipi di filati, che hanno una notevole consistenza (titolo 9) in lino e ginestra, in collaborazione con il Linificio e Canapificio Nazionale e primi prototipi di tessuti in collaborazione con la ditta Crespi.

Sognando le passerelle

Il sogno è quello di creare dei filati che possa essere utilizzati nel settore moda, ma sono necessarie ancora prove e sperimentazioni. “Abbiamo avuto contatti con diversi brand, che sono venuti a visitare il nostro impianto pilota – continua Gallo – ma vogliono il filato, il prodotto, non vogliono impegnarsi nella ricerca”. Invece quello che serve in questa fase è riuscire a portare avanti la sperimentazione sulla realizzazione dei filati e soprattutto rendere disponibile una quantità di fibra che possa essere messa sul mercato .

Alla ricerca di partner la realizzazione dell’impianto

L’Università punta per questo a sviluppare l’impianto pilota già realizzato partecipando a nuovi bandi per la ricerca industriale e nuovi prototipi di materiali ed è interessata ad entrare in contatto con cluster, investitori, imprese e nuovi possibili partner di tutte le regioni italiane.

Il coordinatore del progetto di ricerca per l’Unical è stato sin dall’inizio il prof. Giuseppe Chidichimo del Dipartimento di Chimica e Tecnologie Chimiche, mentre il responsabile scientifico del progetto “Smafinec” attualmente in corso è il prof. Arrigo Beneduci, sempre del Dipartimento di Chimica e Tecnologie Chimiche.